L’Agorà del Weekend
SARA MARIANI
Da quasi dieci anni nella squadra del programma come redattrice e inviata, la giornalista conduce ora gli appuntamenti del fine settimana: «Fiera che l’azienda abbia investito su di me». Il sabato e la domenica alle 8 su Rai 3
“Agorà Weekend”, che viaggio è per gli spettatori e per te?
Cerchiamo di informare, di approfondire, scegliendo dei focus per le nostre puntate, ma facendolo anche con leggerezza, con un approccio più accogliente e adatto al fine settimana. Ci sono gli inviati con i loro servizi, con i collegamenti in diretta, per un racconto articolato con un taglio diverso. Raccontiamo meno la politica stretta e piuttosto come la politica si riflette sul mondo reale. Diamo spazio anche all’approfondimento culturale, a me tanto caro anche per la mia formazione umanistica, con inserti di terza pagina. Fermo restando che i fatti dell’attualità continueranno ad avere la precedenza nella narrazione. Se succede un evento importante “Agorà Weekend”, così come “Agorà”, sono in prima linea, come accaduto, ad esempio, in primavera, con l’alluvione in Romagna.
Nel segno del servizio pubblico…
E grazie all’apporto, fondamentale, delle redazioni regionali della TgR. Le risorse messe a disposizione dall’azienda rappresentano un vero valore.
Cosa significa avere in mano la fiducia dello spettatore e continuare a meritarsela?
È la grande scommessa. Bisogna continuare ad agire nel solco di una tradizione autorevole, quella di “Agorà”. La fiducia si rinnova preparandosi, guardandosi intorno, non smettendo mai di studiare, cercando di mantenere gli occhi aperti. Vuol dire anche concentrarsi sulle cose e sul come raccontarle, e non sul chi le cose le racconta. I più grandi esempi di buona informazione sono esperienze collettive.
Come è cambiato nel tempo il racconto della politica e della società nella narrazione di “Agorà”, come di “Agorà Weekend”?
Se apri i social, se accedi ai mille modi di informarsi che abbiamo, vedi che i tempi di fruizione dell’informazione sono cambiati. Ecco, è importante prenderne atto, farlo, pur senza caderne vittime. La cosa più intrigante è che questo lo ha capito in primo luogo la comunicazione politica stessa, cambiando passo.
Come nasce una tua intervista?
Dal saputo e al tempo stesso da una curiosità soggettiva. È lecito chiedersi, perché questa persona mi incuriosisce? Un’intervista è sempre l’incontro tra due persone. Ad “Agorà” cerchiamo anche di costruire nuovi ruoli per i nostri ospiti, per personaggi che vengono da noi. Chi ha detto che Mario Tozzi debba parlare solo di ambiente? Chi ha detto che un politico debba per forza parlare di ciò che si occupa? È un percorso interessante da fare.
Come reagisci quando un intervistato sembra non dirti la verità?
È complicato, anche perché è difficile capire quando un ospite ti sta mentendo. Non sono una di quei giornalisti che pensano che la verità sia una e una sola, che sia così chiara e lampante da vedere in ogni momento. La mia formazione mi porta a considerare il percorso dialettico. Ovviamente la verità non si costruisce, ma possiamo provare a fare ragionare le persone, sulla base di un racconto, un dialogo, che nella realtà ci vanno. La grande sfida è sempre quella di dare modo a chi ci guarda di farsi un’idea. Ho sempre voglia di capire le cose mentre le sto scoprendo, un percorso che si fa insieme allo spettatore, andando oltre i barocchismi e ai tecnicismi della politica.
Se potessi intervistare un protagonista della storia repubblicana passata, chi sceglieresti?
Se rispondo con il cuore, da italianista, dico Italo Calvino, del quale il 15 ottobre
cadrà il centenario della nascita. Sono molto sensibile alla narrazione, al racconto, alla letteratura. Avvicinarsi a Calvino, leggerlo, studiarlo, significa anche capire il Paese.
Di che cosa parleresti con lui?
Mi piacerebbe parlare di tutto, di come vede cambiato il popolo italiano, inteso come insieme di cittadini. Gli chiederei di dirmi la sua sulla nuova impostazione della politica. E poi gli domanderei anche come si possa andare incontro alle esigenze dei nuovi italiani anche nell’ambito dell’informazione.
A proposito di italiani, in tutti questi anni di lavoro ad “Agorà” cosa hai scoperto di loro?
Ho scoperto un Paese che ha voglia di essere ascoltato. Che ha voglia di dare il proprio contributo ma che ha perso di vista gli strumenti per provare a farlo. C’è un rischio di scollamento fra il mondo raccontato e il mondo reale, che è molto più sfaccettato e difficile da ridurre a una immagine univoca. Questa è la difficile scommessa sul racconto del Paese. Ma credo che l’informazione debba tornare in qualche modo a fare un vecchio lavoro: quello di dare un contributo e degli strumenti per costruirsi pensiero e coscienza critica, una parola non più di moda purtroppo.
Lavoro a parte cosa ti fa stare bene?
La persona che sta per aprire la porta di casa in questo momento, il mio compagno Michele. Ho la fortuna di avere una famiglia e amici meravigliosi, ma in particolare lui. È un regalo grande.