La mia Reazione? Un motore hybrid

Da giugno a dicembre il preserale di Rai 1 è “Reazione a catena”. Sta per partire la diciassettesima edizione del game show che mette alla prova l’intuito, la prontezza e la padronanza della lingua italiana dei concorrenti in studio e dei telespettatori. Il conduttore: «È un gioco che ti fa stare bene, sia mentalmente sia fisicamente»

Con l’estate ritornano “Reazione a catena” e la nostra intervista. Domanda di rito, Marco, è pronto?

Siamo già a Napoli, stiamo lavorando, siamo prontissimi. E vi dico subito che c’è una bella novità, un nuovo gioco.

Ce lo racconta?

Si chiama “Quattro per una” ed è molto carino. Ci sono quattro modi per arrivare alla stessa parola. Vi faccio un esempio: se dico più che tonda… puoi agganciarci qualcosa… più che quadra… che cos’è? È una graffa.

Cosa le sta dando questa esperienza?

Tantissimo, a partire dal gruppo di lavoro. Ci sono autori di grande esperienza che fanno questo programma da 17 anni. E poi “Reazione a catena” è un gioco che ti fa stare bene, sia mentalmente sia fisicamente. Mi trovo molto bene nel Centro di produzione della Rai di Napoli, il pubblico è caldo, senza dimenticare che parliamo di un programma importante di Rai 1.

Cos’hanno in comune Napoli e “Reazione a catena”?

Sicuramente la creatività, perché i napoletani sono molto creativi, ma anche la gioia e la solarità. È sicuramente un bell’abbinamento.

Cosa cerca di capire dei concorrenti quando li incontra per la prima volta? 

Cerco di cogliere il loro carattere, capire che cosa portano di loro stessi in trasmissione. Il programma rappresenta un’Italia che si racconta poco, piena di belle storie che spesso non fanno notizia. Sono le storie della quotidianità delle quali abbiamo bisogno. Ecco, il gioco, “Reazione a catena” è il contenitore adatto.

Che cos’è per lei la competizione?

Una sfida con se stessi, la vivo sempre in questo modo. È chiaro che ci sono gli avversari. Se ti scontri, come accade in una partita di calcio, devi anche valutare i punti deboli degli altri, ma la cosa più importante è capire se hai dato il meglio di te.

Nel gioco sono più competitivi gli uomini o le donne?

Entrambi. Ma “Reazione” è un gioco di squadra, dove a competere sono gruppi di persone: contano l’affiatamento, l’intesa.

Qual è la parola che meglio racconta questo momento della sua vita?

Una domandona (sorride). Forse confronto, in riferimento al mondo dei miei figli, che hanno tra loro età molto diverse: il più grande ha 28 anni, la seconda quasi 19, la terza quasi 13. Cerco sempre di osservarli per capire dove vanno loro e dove stiamo andando tutti insieme. Ti raccontano quello che pensano, cosa sentono come importante.

In questo confronto c’è qualcosa che la sorprende più di ogni altra cosa?

La velocità, sono veramente rapidissimi. Ma anche l’eterno presente. Da ragazzo facevo spesso riferimento al passato, cercando di capire da dove venivamo, ne parlavo con i miei genitori che ci raccontavano. Oggi il passato sembra molto sottile, una cosa che si attualizza solo se c’è qualcosa del presente che lo giustifica. Questo non mi piace tanto, ma vedo che è così.

Che peso ha nella sua vita l’affetto del pubblico?

È un peso centrale. Certo, sto alle direttive dei miei capi, ma sono al servizio del pubblico. Sono attento alla sensibilità di chi è di fronte al video così come di coloro che assistono al programma in studio. Li ho alle mie spalle e avverto i loro umori, capisco quando si divertono e quando si annoiano, sento il mormorio. Il pubblico va sempre ascoltato, ti dà il polso di come sta andando la puntata, è un termometro in tempo reale.

Al lavoro per gran parte dell’anno, come ricarica le batterie?

Per “Italia Sì” abbiamo uno stop a Natale, e riusciamo a fare qualche giorno di vacanza. Ma anche per “Reazione”, registrando le puntate, troviamo il tempo per riposare. Devo anche ammettere che “Reazione a catena” mi aiuta a ricaricare le batterie, se fosse un motore sarebbe un ibrido, che più gira più produce energia (sorride).

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