La giustizia in prima serata

“Un giorno in Pretura” riparte con tre prime serate dedicate a tre processi che negli ultimi tempi hanno suscitato grande scalpore. Il RadiocorriereTv incontra la curatrice e conduttrice. Da venerdì 31 maggio in prima serata su Rai 3

 

Roberta Petrelluzzi,2023

In prima serata su Rai 3, quali casi affronterete?

Apriamo con il caso di Alessia Pifferi, la donna accusata dell’omicidio della sua bambina di 18 mesi, nelle puntate successive ci occuperemo dell’omicidio di Laura Ziliani e del caso di Tiziana Morandi, la “mantide della Brianza”.

Raccontare un caso giudiziario attraverso le immagini dei processi, da dove si parte?

Dalla lettura di tutti gli atti, dall’inizio alla fine. Si costruisce una sorta di sceneggiatura basandosi sul materiale che abbiamo, non aggiungendo nulla di nostro, se non l’intelligenza del capire. E poi mettiamo in evidenza le tesi dell’accusa e della difesa. Anche di fronte a casi di cui molto si parla è lecito chiedersi se le persone siano realmente informate e se l’opinione che si sono fatte sia quella giusta. Cerchiamo di raccontare il processo per come si è svolto, pur essendo consapevoli che dalle aule di giustizia esce la verità processuale.

Cosa deve avere un caso per rimanere nell’immaginario collettivo?

Tutti i casi che trattiamo, quelli della Corte d’Assise, possono rimanere nell’immaginario collettivo. Il novanta per cento di questi è dato da omicidi, da fatti che vanno all’origine del male e che ci fanno scoprire il male che sta in noi, nel nostro vicino, che solitamente non cogliamo. L’interesse dipende anche dalla notorietà acquisita di fronte all’opinione pubblica, cosa che non dipende da noi ma da voi, dai giornalisti. Da una narrazione che cerca talvolta le frasi ad effetto, che vuole colpire l’attenzione del pubblico. Non si scava a fondo come invece facciamo noi. Il nostro non è un voler giustificare ma un voler capire.

Le vicende processuali sono spesso tortuose, complicate. Negli anni che idea si è fatta della nostra giustizia?

Prima era più semplice perché i media intervenivano meno. Ora hanno preso un po’ il sopravvento, non per colpa ma per quello che è il loro ruolo. Si entra in un campo poco controllabile e capita si facciano danni. Non sempre da questo, dalle ingerenze, la giustizia trae vantaggio. Chi segue un processo dice la sua su come pensa siano andati i fatti e porta avanti una sua tesi. Questo a volte complica le cose: è un problema enorme che non saprei come risolvere.

Il vostro ruolo è differente…

Con il nostro programma abbiamo la fortuna di stare alla fine, non ci interessa quello che è stato detto o è successo prima. Andiamo lì, vediamo i testimoni, è come se fossimo dei notai. Facciamo in modo che ciò che mostriamo rifletta l’andamento del processo.

Dal 1985 a oggi come è cambiato il programma?

Molto profondamente è cambiato solo una volta, quando facevamo solamente le introduzioni e le chiusure alle riprese dei processi. Adesso noi guidiamo un po’.

Quali pagine di “Un giorno in Pretura” le sono rimaste, per così dire, più addosso?

Il processo di Avetrana. È un caso che potrei definire con un termine che andava molto ai miei tempi, ossia emblematico. Rappresenta benissimo i danni che possono fare i media una volta scatenati su un caso.

Che cosa si sente di dire al pubblico che vi segue con tanto affetto?

Di continuare a farlo.

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