La forza della leggerezza
La giornalista del Tg 1 Adriana Pannitteri racconta la Raffa nazionale, a ottant’anni dalla nascita. Edito da Morellini Editore, “Raffaella Carrà. La ragazza perfetta” raccoglie testimonianze ed emozioni di chi ha conosciuto da vicino la conduttrice e showgirl più amata di sempre
Perché “la ragazza perfetta”?
Perché sin da bambina Raffaella sapeva che avrebbe dovuto faticare per esprimere il suo talento. Lo ha fatto negli anni, in tutti i modi possibili e immaginabili, senza mai risparmiarsi. Chi ha vissuto con lei le lunghe trasferte in Sudamerica, nei tempi d’oro, ricorda Raffaella provare all’inverosimile per tutta la giornata, per poi chiudersi in camera la sera a imparare lo spagnolo. Da questo punto di vista è stata la “ragazza perfetta” e lo è stata forse anche troppo, perché quando si punta alla perfezione e si pretende troppo da se stessi, si rischia di non voler mai perdere il controllo e di essere un po’ trattenuti.
Cosa ti ha spinto a raccontare Raffaella?
Un anno fa ho avuto l’occasione di realizzare uno Speciale Tg 1 su di lei in collaborazione con la regista Cinzia Perreca, che mi ha parlato a lungo di Raffaella, figura di donna in fondo molto lontana da quelle di cui fino ad allora mi ero occupata. In passato avevo certamente apprezzato la Carrà, e la sua figura, che mi era sembrata esclusivamente basata sulla leggerezza, ma pian piano ha cominciato a rivelarmi aspetti interessanti, a partire dalla capacità di affermarsi in un mondo di uomini e di farcela da sola grazie al suo talento. Ha avuto sì dei compagni che l’hanno sicuramente sostenuta in un connubio professionale, ma non sono stati loro a farle la carriera. Lei non ha mai scelto la strada del personaggio importante al suo fianco per trovare il successo e questo lo trovo straordinario. Mi ha colpito la figura di una donna che si è data da fare tutta la vita e ha saputo anche reinventarsi. Ha recitato, ballato, condotto, si è spesa per battaglie sociali come quella delle adozioni, per il mondo LGBT. Raffaella non è stata solo leggerezza.
Nel tuo viaggio alla scoperta di Raffaella hai incontrato molte persone che hanno condiviso un percorso con lei, cosa ha lasciato a chi l’ha amata?
Non solo la simpatia, ma un modello di lavoro basato sulla professionalità. C’è chi l’ha definita una professionista all’americana che si spendeva fino all’ultimo. Ha insegnato un modello di serietà e di tenacia.
Raffaella persona e personaggio, com’era la Carrà nella vita di tutti i giorni, che idea ti sei fatta?
A Raffaella piaceva giocare a carte con gli amici e contornarsi delle persone a cui voleva bene. Aveva anche amici vip, come Renato Zero e Fiorello, ma quando non lavorava e trascorreva il tempo nel suo buen retiro di Porto Santo Stefano, stava in compagnia di persone comuni che le consentivano, almeno nella vita privata, di essere solo Raffaella Pelloni. Aveva un grande senso di libertà. I suoi collaboratori, con i quali ha lavorato ad esempio in Spagna, raccontano che quando andava a vedere uno spettacolo lo faceva in incognito, non si faceva regalare i biglietti. Amava trascorrere il suo tempo libero come voleva. Mi sono fatta l’idea di una donna che nella vita privata era estremamente semplice, le piacevano le scarpe basse, i jeans, il maglioncione. E poi quando la vedevi in televisione, come diceva il costumista Luca Sabatelli, più che vestirsi si armava con abiti di scena pazzeschi.
In cosa è stata rivoluzionaria Raffaella?
Penso al “Tuca Tuca”, che venne visto con preoccupazione dagli allora vertici della Rai. Ma era un’esibizione spensierata che hanno ballato i bambini, gli anziani, e anche i frati quando Raffaella è andata a trovarli a San Giovanni Rotondo. Quel ballo ha mandato un messaggio di libertà in maniera lieve. Raffaella non ha fatto la rivoluzione proclamandola, ma attraverso la leggerezza. Quello che pensava l’ha sempre detto, senza mai farsi problemi e sempre in modo semplice.
Si dice che Raffaella fosse brava in cucina…
Amava cucinare per gli amici. Nei giorni in cui andava in diretta con il programma preparava il sugo la mattina presto.Lasciava tutto pronto per cenare con i collaboratori a casa sua a tarda sera, una volta spente le telecamere.
Nel tuo racconto dedichi ampio spazio a “Carramba”, cosa ha rappresentato per Raffaella e per il suo pubblico quel programma?
È stato forse il programma più innovativo della storia della Tv. Può piacerci o meno, possiamo trovarlo per certi versi melenso, ma gli ascolti erano stratosferici. Raffaella ha sdoganato certamente le lacrime, ma soprattutto l’abbraccio. Ha anche avvicinato l’Italia all’America latina, con ricongiungimenti di persone separate da tantissimo tempo che non avevano grandi possibilità economiche. Credo che in quegli anni quel programma sia stato geniale.
Il libro chiude con il racconto del ritorno di Raffaella all’Argentario. Perché ha amato quel luogo così tanto da voler essere sepolta lì?
Credo per motivi anche un po’ casuali, forse perché Gianni Boncompagni e Sergio Japino avevano già una villa lì, ma nel tempo per Raffaella quel posto è diventato un punto di riferimento, luogo in cui scappava ogni volta che poteva. Aveva preso casa a Cala Piccola, una vista spettacolare di fronte all’Isola del Giglio. Il silenzio della natura si contrapponeva al tanto “rumore” del mondo dello spettacolo, della città. Oggi è sepolta nel piccolo cimitero di Porto Santo Stefano, in paese ci sono anche un premio cinematografico e un giardinetto intitolati a lei.
Raffaella, forse non perfetta, ma certamente unica…
Non penso fosse facile essere la Carrà. Ha dato tantissimo allo spettacolo e al suo pubblico divenendo un personaggio unico, e cercando al tempo stesso di essere, per se stessa, semplicemente Raffaella.