La forza della giustizia
MAYA SANSA

«Per Anna tutto gira intorno alla sincerità, nel privato come nella professione» racconta al RadiocorriereTv la protagonista della nuova e attesissima serie tv “Sei donne”, un racconto corale al femminile in tre puntate, su Rai 1 e in streaming su RaiPlay
Partiamo dal suo personaggio: chi è la PM Anna Conti?
Anna è una donna che si è fatta strada da sola, alle spalle una storia personale piena di problemi che non le ha impedito di rialzarsi, ricostruire la propria esistenza, studiare, laurearsi, creare una famiglia con l’uomo di cui si è innamorata e che credeva fosse un compagno complice, amico per sempre. Il pubblico la conoscerà, invece, nel momento in cui tutta questa sicurezza, che era stata in grado di costruire, crolla, lasciandola sola e in grande difficoltà. Nel suo lavoro è spinta da passione, è dotata di un grande intuito, di istinto che vedremo in azione ancora di più quando, sulla sua scrivania, arriva il caso della scomparsa misteriosa di una ragazzina, Leila, e di suo padre. Mentre tutti cercano di dissuaderla, Anna intuisce che sotto c’è qualcosa di poco chiaro per cui vale la pena indagare, spinta quasi da un senso di immedesimazione verso questa ragazza, come se, salvando Leila, volesse salvare se stessa dalla sua infanzia difficile.
Quale viaggio intraprende la sua Anna?
Incontra molte persone, soprattutto donne, dalle quali si aspetta aiuto e complicità e, al contrario, riceve una chiusura totale, forse dovuta anche al suo atteggiamento un po’ brusco, chiuso, duro. Non potevamo però “imbrogliare” il pubblico nascondendo una sofferenza sotto una finta dolcezza, è una donna che ha sofferto e che sta soffrendo, dovevamo rimanere fedeli alla scrittura e alla verità. Per Anna tutto gira intorno alla sincerità, al senso di giustizia, nel privato come nella professione.
Con “Sei donne” arriva il debutto alla regia televisiva di Vincenzo Marra. Com’è andata?
Da Vincenzo ho ricevuto una fiducia totale, è stato lui a offrirmi questo ruolo e io ho accettato con entusiasmo perché è un professionista con cui avevo voglia di lavorare, un autore dotato di un linguaggio visivo, di una grammatica narrativa molto personale. A volte per un attore è stimolante affrontare numerosi provini, scoprire il personaggio un po’ alla volta, confrontarsi con il regista, altre, invece, percepire che in te viene immediatamente riconosciuto qualcosa di quel personaggio, può essere anche molto liberatorio, perché si lavora solo sulle sfumature o su alcune specificità.
La scrittura di Ivan Cotroneo e Monica Rametta è una garanzia…
Con Marra abbiamo lavorato in sottrazione perché nel testo c’era già tutto. La scrittura di Cotroneo e Rametta è molto chiara, il mio personaggio è stato ben delineato subito nella sceneggiatura, non si doveva aggiungere molto altro. Confesso, però, che l’inverno scorso avevo dovuto affrontare dei provini per ruoli da giurista e, alle riprese, sono arrivata con molto studio alle spalle. E poi, ho più volte consultato uno zio giudice dei minori, adesso in pensione, tartassandolo di telefonate perché volevo capire tutto di quel mondo. Alla fine, ero diventata più pignola di lui (ride).
Una serie e un set corali…
Con il cast si è creata una relazione davvero molto bella, ma non è stato un set facile. Vincenzo è un bravissimo regista, molto esigente e serio, a noi attori ogni tanto veniva invece un fou rire necessario per allentare la tensione di una storia complessa, ma anche del caldo sofferto. Abbiamo girato d’estate, in una Taranto che segnava 40°, è stato naturale creare dei momenti di svago e di distrazione. Ricordo con piacere il tempo trascorso con l’aiuto regista che la mattina ci faceva ripetere la scena in un contesto più rilassante, poi si tornava come soldati sul set, dove dovevamo rigare dritto. Credo però che la stessa serie girata d’inverno avrebbe avuto un sapore diverso. Nonostante tutto, il caldo e il torpore, ovviamente stancanti, ci hanno ben accompagnati.
Taranto, città poco nota al grande pubblico televisivo, in che modo entra nella storia?
Il luogo più presente nella serie è in assoluto la procura di Taranto, un palazzo bellissimo, importante, che ha qualcosa di caratterizzante. Il mare è molto presente, ci sono dei passaggi in macchina in cui si vedono delle zone bruciate dal sole, tra le quali si scorge il lato industriale della città. Non si parla però della città turistica, tra l’altro molto bella, perché non interessava restituire al pubblico una cartolina.
Quali sono le sfide di questo giallo psicologico?
Raccontare correttamente un universo femminile complesso, vario. È un thriller, certo, c’è tanto mistero, tutto ruota intorno a questo, ma i personaggi sono raccontati nelle loro diverse sfaccettature. Rispetto al passato si propongono molte più storie al femminile e il titolo di questa serie pone proprio l’attenzione su un racconto di donne che non devono sostituirsi agli uomini, o trasformarsi in essi, soprattutto se occupano posizioni di potere. Anna ha una tenuta molto sobria, sarebbe stato assurdo farle sfoggiare altri abiti, è rigorosa, è un giudice impegnato, non ha tempo di occuparsi di altro. Al di fuori di questo, però, tutto il suo universo emotivo è prettamente femminile, al lavoro funziona con un intuito e un approccio di donna.