La famiglia è un luogo dell’anima
La famiglia è un luogo dell’anima
Attore, musicista, doppiatore: «Il gioco della vita è difficile. Ci vuole impegno, ti spettina continuamente, ma per ogni insidia che c’è, ci sono dieci bellezze». Del suo mestiere afferma: «Per me è linfa vitale». E’ tra i protagonisti della serie tv “Vivere. Non è un gioco da ragazzi”
Parliamo di “Vivere. Non è un gioco da ragazzi”, cosa l’ha spinta ad accettare questo progetto?
Una serie di motivi. In primis la fiducia totale che nutro nei confronti di Rolando Ravello, un attore e un regista strepitoso. È una storia interessante, ben scritta da Fabio Bonifacci, un grande romanziere, e poi sono papà di un bambino che sta per compiere tredici anni, molto attento a questo tipo di argomenti. Raccontiamo di problemi con i quali, spero, di non dovermi scontrare, ma che probabilmente, in qualche modo, sfioreranno la vita di mio figlio tra un paio d’anni. Penso che sia bello mettersi addosso un messaggio per i ragazzi.
Dal romanzo alla trasposizione televisiva, che “giri” fanno nella serie le “verità”?
Nella storia che raccontiamo le “verità” sono condivise solo fra i ragazzi, a un certo punto però la situazione li costringe a metterle sul tavolo delle famiglie. Le cose cominciano ad avere troppo peso e cresce la paura del giudizio delle famiglie. Abbiamo un bravo ragazzo che, per un problema di droga, rischia di distruggere l’immagine che i suoi genitori avevano di lui e comincia a mentire, o peggio si sente solo. È questo un errore che spesso commettiamo quando siamo in difficoltà, invece di condividere un problema, lo nascondiamo, lo teniamo segreto, nella speranza che si risolva prima di essere scoperto. Quando poi, nel peggiore dei modi, la verità viene fuori, saltano tutti gli equilibri.
Qual è la fotografia della società che emerge da questo racconto?
Le cose nella società sono cambiate fino a un certo punto, chi ti parla, per esempio, è un ragazzo cresciuto a Centocelle, un quartiere negli anni ‘80 “difficile”. Se si legge “Romanzo criminale” si capisce quanto fosse una tra le più importanti piazze di spaccio. Da giovane ho visto molto, ma la famiglia vigile, il ragazzo coscienzioso, le amicizie giuste mi hanno consentito di difendermi da un mondo nel quale sarei potuto cadere. Adesso i canali di condivisione del bene e del male sono molto più numerosi, ma non sempre efficaci. Pensiamo a quanto sia distorto oggi per gli adolescenti il rapporto con la sessualità… noi sapevamo che esisteva la pornografia, ma dovevi andare a rimediare quello che ti serviva in edicola, adesso invece c’è un’immediata disponibilità in rete di cose allucinanti, che rischiano di alterare il senso della personalità di un ragazzo. La fotografia che restituisce quindi questa serie è di un mondo pieno di insidie, amplificate, come nel caso della droga, dalla paura di non avere una possibilità di crearsi un futuro. Io ho quasi cinquanta anni e da giovane non immaginavo che ci fosse così tanto precariato, siamo cresciuti con la convinzione che se ti fossi laureato avresti fatto un determinato lavoro. In molti, però, siamo rimasti delusi, ma i ragazzi di oggi non hanno nemmeno questo sogno. Loro sanno già che, nella maggior parte dei casi, per avere delle chance, sarai costretto ad andartene dal tuo Paese. Con questa mancanza di una visione di futuro certo è molto più facile cadere in errore, nelle distrazioni e negli stordimenti che vediamo tra i giovani.
Qual è il ruolo degli adulti, anche nella serie?
Gli adulti devono essere vigili, consapevoli e pronti a intervenire preventivamente. Credo che l’educazione di un ragazzo sia il passo più importante da compiere per un genitore che deve essere presente, parlare con i propri figli, instaurare una conversazione profonda con loro. Se un figlio si sente ascoltato sa che può raccontarti qualsiasi cosa, se è consapevole di avere al proprio fianco un genitore attento, che non nasconde le cose, ma instaura un rapporto di fiducia, al primo problema correrà immediatamente a casa.
Veniamo allora al suo personaggio, Marco…
È un uomo semplice, un grande lavoratore che ha messo su una famiglia meravigliosa, ma sta attraversando un periodo economicamente faticoso. Gli devono dei soldi, ha comprato una macchina che fatica a pagare, e questo gli genera un grandissimo senso di colpa quando il figlio si trova in difficoltà. Pensa immediatamente che se avesse potuto dare la giusta paghetta al ragazzo, questo non avrebbe dovuto comprare quella pasticca farlocca. Marco è un uomo che a un certo punto pensa di dover prendere le redini della famiglia da maschio alfa, facendo però la cazzata, mettendo da parte la moglie e trovando soluzioni inadatte, senza parlare mai veramente con il figlio. Questo è il suo errore, pur essendo un padre amoroso, amorevole, dolcissimo, è un uomo tutto d’un pezzo che pensa “figurati se mio figlio si droga”. Quando invece tutto questo accade, il figlio non va da lui, perché sa che avrebbe preso un altro schiaffone e non una parola di comprensione, un tentativo di aiutare. Quando il dramma accade, l’equilibrio della famiglia è fragile, marito e moglie faticano ad avere una connessione, prendono due strade diverse sulla gestione del problema, lo scontro con il figlio diventa ancora più grande.
Nella serie però ci lasciamo con una porta aperta alla speranza?
Ma certo, sempre! Le cose si risolvono in questa storia come nella maggior parte delle storie in cui si mette in atto una strategia per risolverle. Il messaggio è proprio questo, nel momento in cui si interviene attivamente, con energia, dove è possibile, tutto può essere affrontato.
Com’è andata con “suo” figlio Riccardo (De Rinaldis)?
Un ragazzo bravissimo, vergognosamente alto e longilineo. Deve aver preso tutto dal nonno (ride). Riccardo è di una dolcezza incredibile, lavorare con lui e misurarmi con la sua età e purezza è stato bellissimo. Ha fatto davvero un ottimo lavoro.
Quando tutto vacilla, dove si trovano i punti fermi per non perdersi, ritrovare il baricentro?
Nel recupero del senso della famiglia, che non è semplicemente un luogo dove si costruisce una casa, ma è soprattutto un luogo dell’anima nel quale si è scelto di condividere tutto, male compreso. Non è che uno prende le redini della situazione e fa tutto da solo, bisogna decidere insieme il da farsi, perché altrimenti, se ci si separa, si è tutti più deboli.
Ma è davvero così difficile vivere il gioco della vita?
Il gioco della vita è difficile, come tutti i giochi belli. Qualcuno conosce un gioco bello che sia facile? Ci vuole impegno, perché la vita è complicatissima, ti spettina continuamente, ma per ogni insidia che c’è, ci sono dieci bellezze.
Siamo sempre tutti molto distratti però…
La distrazione è il male di questo tempo. Nessuno sa più annoiarsi, quando invece la noia è necessaria per tirare fuori l’immaginazione. Oggi non c’è più il tempo per questo, è tutto rapidissimo, anche la musica. L’introduzione delle canzoni dura al massimo tre secondi e poi si deve cominciare subito a cantare, altrimenti uno fa lo swipe e manda via. Non riusciamo più a goderci le cose. Se invece prestassimo più attenzione, ascoltassimo veramente chi si ha davanti, se si guardasse meglio quello che ci circonda, la vita sarebbe migliore.
E lei dove poggia la sua attenzione?
Sul mondo tutto. Sono stupefatto dalla bellezza della natura, mi esalta in maniera incredibile vedere mio figlio crescere, percepire nei suoi occhi il desiderio di scoperta, la mia ansia di fargli assaggiare di questa vita più cose possibili. Io mi sento un uomo fortunato, un privilegiato perché da bambino avevo una passione e oggi questa passione è un lavoro bellissimo che mi consente di vivere. Questo non lo scordo mai e, per quanto possa essere faticosa una giornata sul set, torno a casa con un sorriso da un orecchio all’altro che mi consente di guardare tutto con serenità.
E poi nella sua vita c’è la musica…
Tanta musica. Nasco da lì e ho pensato bene di sposare una musicista (ride) e di far frequentare al figlio una scuola con l’indirizzo musicale.
Attore, musicista, doppiatore… una vita così piena la si gestisce o la si lascia scorrere assaporando tutta la bellezza che c’è?
La gestisco lasciandola scorrere (ride) perché alla fine si riesce a fare tutto, sono supportato da una donna che fa il mio stesso mestiere e ha le stesse esigenze. Entrambi sappiamo qual è il senso di una tournée, la lontananza da casa e il distacco. Abbiamo un figlio che è cresciuto all’interno di queste dinamiche familiari e ha un grande spirito di adattamento. Questo lavoro per me è linfa vitale, non mi sgonfia, mi dà la carica.