La Bussola – Il collezionista di Stelle

AL CINEMA

La storia della musica italiana si intreccia a doppia mandata con il celebre locale di Marina di Pietrasanta, che tra gli anni Cinquanta e Ottanta vide esibirsi gli artisti più popolari e amati, italiani e internazionali. Il documentario di Andrea Soldani, coprodotto da Rai Cinema e da Lux Vide e presentato in anteprima all’ultima Festa del Cinema di Roma, racconta l’epopea di Sergio Bernardini un impresario innamorato dello spettacolo e delle tante star che contribuì a consacrare. Nelle sale il 12, 13 e 14 febbraio

La Bussola non è stato un locale come tanti altri, una normale discoteca, ma qualcosa di più… cosa l’ha spinta a raccontarla?

Quando ero bambino, insieme alla mia famiglia, passavo l’estate in Versilia, a Focette di Marina di Pietrasanta. A volte, nei fine settimana, mio padre andava a giocare a carte nel pratino della Bussola. Con quella scusa, andandolo a trovare, mi intrufolavo nel locale e ascoltavo le prove dei cantanti che si sarebbero esibiti alla sera. Vidi Mina, Adriano Celentano, Charles Aznavour, e mi piaceva quel tipo di dimensione. Anni dopo, nel 1995, conobbi Mario Bernardini (figlio del patron della Bussola Sergio Bernardini) e ritrovai quel mondo. Questo documentario ha per me un risvolto sentimentale, è un omaggio a una terra, la Versilia, e a uno dei suoi uomini più lungimiranti. Una gioia che insieme a Mario condivido con i produttori, Rai Cinema e Lux Vide, con i comuni di Viareggio, di Camaiore, di Pietrasanta e la Regione Toscana, che ne hanno sostenuto la realizzazione.

Tutto ebbe inizio a metà anni Cinquanta, come furono quegli inizi?

È il 1955. Si è da poco usciti dalla guerra e si è passati dalla fase della ricostruzione alla ricerca del divertimento. Bernardini seppe intercettare questa necessità. Solo qualche anno dopo arriveranno il boom economico, il concetto di spettacolo, e il mondo cambierà ancora.

Bernardini ebbe fiuto, lungimiranza, perché gli artisti avevano tanta fiducia in lui?

Lui si definiva un bottegaio e nella sua bottega, che era La Bussola, amava mettere le cose migliori da poter dare al suo pubblico. Gli artisti gli erano molto affezionati perché pagava molto bene, ma anche perché era un personaggio fortemente empatico e instaurava con loro un rapporto di grande amicizia. Pur essendo un locale da mille posti, occupati per lo più da persone facoltose, era un po’ come una grande famiglia, di cui facevano parte gli artisti, il pubblico e le persone che ci lavoravano. Era una comunità.

Artisti italiani e grandi nomi internazionali…

La grande intuizione di Sergio Bernardini fu proprio quella di consacrare i nostri artisti e di portare al tempo stesso in Italia i grandi cantanti che venivano dall’estero. Come dicevano Mario Lavezzi e Ornella Vanoni “se non passavi dalla Bussola, non eri nessuno”. Ci dovevi andare.

I più grandi si sono esibiti su quel palcoscenico, quali sono i nomi più legati alla Bussola?

IlbinomioLa Bussola – Mina è immediato. Ma anche Gino Paoli, Celentano. Lo stesso Vittorio Gassmann, che  vide nascere l’epopea del Mattatore proprio in Versilia, la sera in cui alla Bussola salì sul palco per sostituire la cantante americana Abbe Lane. Quello era il luogo in cui tutto poteva accadere.

Un locale capace di adeguarsi al trascorrere del tempo, sino ad arrivare a Bussoladomani. Tutto questo cosa racconta di Bernardini?

Il passaggio a Bussoladomani fu quasi una tappa obbligata. C’era stato il ’68, c’erano state le contestazioni che avevano messo in crisi tutto, e la Bussola non poteva rimanerne fuori. Bernardini capì che quel modello di intrattenimento e di business, fare spettacolo per pochi facoltosi, non teneva più, non poteva più funzionare. Per poter abbassare i prezzi e rendere lo spettacolo più popolare si inventò il tendone, il primo teatro tenda italiano facendo entrare 6-7 mila persone nelle varie fasce di prezzo. Si adeguò a un nuovo consumo dello spettacolo. Quello stesso modello sarebbe andato in crisi negli anni Ottanta con l’arrivo dei concerti negli stadi. Per Bernardini gestire Bussoladomani non fu la stessa cosa, mancava il rapporto famigliare. Si era rotta la magia con quel locale che aveva amato profondamente.

Che cosa l’ha colpita di più delle testimonianze che ha raccolto?

Tutti, indistintamente, hanno tratteggiato Sergio come una persona di grandissima umanità, al di là della genialità imprenditoriale. Dietro a una grande impresa, evidentemente, c’era un grande uomo.

Se avesse la possibilità di salire sulla macchina del tempo per trovarsi in una di quelle serate speciali alla Bussola. In quale si materializzerebbe?

Penso a due momenti, e riguardano entrambi Mina. Il primo quando ancora sedicenne, con un gruppo di amici, arrivò alla Bussola e provò davanti a Bernardini sentendosi dire “brava, ma non va bene, devi studiare ancora” e il suo ultimo concerto a Bussoladomani, un evento da pelle d’oca.

Alla Bussola di Sergio Bernardini sarà presto dedicata anche la mostra “Divismo, spettacolo e cultura, 1950-1980”, che aprirà i battenti il 28 marzo prossimo al Palazzo Mediceo di Seravezza, in Toscana.

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