La Bellezza ritrovata

Marco Frittella

I beni artistici e culturali nazionali godono oggi di nuova luce e attenzione. L’arida imperante burocrazia ha lasciato spazio a un approccio manageriale di alto livello, a sinergie virtuose tra pubblico e privato, all’iniziativa dei cittadini. Perché l’arte è di tutti. Il volume, in libreria e negli store digitali dal 28 aprile, è un viaggio a trecentosessanta gradi nel nuovo corso del patrimonio artistico nazionale, attraverso le testimonianze di archeologi, manager culturali, specialisti di ogni genere, volontari e militari. Il RadiocorriereTv incontra l’autore, popolare giornalista della Rai, che ha recentemente assunto l’incarico di direttore di Rai Libri

“Dall’abbandono alla rinascita, viaggio nel Paese che riscopre i suoi tesori (e la sua anima)”. Un sottotitolo che è già un manifesto, come nasce questo suo nuovo lavoro?

Dalla constatazione che sotto il profilo della valorizzazione e della tutela dei beni culturali abbiamo voltato pagina rispetto alla situazione esistente fino ai primi anni Duemila. Ricordiamo lo scandalo per il crollo della schola Armaturarum di Pompei. Il sito era nel degrado più assoluto, abbandonato, chiuso per scioperi, senza una vera valorizzazione, mentre oggi, grazie a una serie di riforme, a una idea diversa del rapporto tra pubblico e privato, a una consapevolezza maggiore da parte degli italiani del tesoro di cui devono occuparsi e godere, le cose sono cambiate. Dopo “Italia Green”, dedicato alle tematiche del made in Italy ambientale, “L’oro d’Italia” racconta storie di eccellenza della tutela e della valorizzazione dei nostri beni artistici, storico culturali, paesaggistici. Da Pompei, risorta rispetto alla decadenza in cui si trovava, alla reggia di Venaria Reale di Torino, residenza sabauda di grandissimo pregio, immensa struttura caduta nel più completo abbandono e oggi completamente restaurata, scintillate, piena di eventi, di giovani che la vanno a visitare. Lo stesso discorso vale per la reggia di Caserta, altro sito che oggi funziona bene.

Quali sono i punti di riferimento di questo nuovo modello di gestione?

Il complesso di riforme di cui parlavamo e una concezione diversa del rapporto tra Stato, enti locali e privato. Quest’ultimo non è più demonizzato o visto come il vampiro che si cala sul bene culturale per scempiarlo, volgarizzarlo, per ottenerne il massimo profitto. Ovviamente, non tutto il privato è buono, bisogna sempre controllare e vigilare. Abbiamo visto come criteri privatistici di valorizzazione del bene culturale, che resta di proprietà dello Stato, consentono di sviluppare energie fenomenali. Il secondo punto è quello della riforma dei musei. Ne abbiamo 44 con un loro statuto di autonomia, che non sono più uffici periferici delle sovrintendenze che se ne occupavano quando potevano, ma ci sono direttori scelti con concorso di livello internazionale che hanno tutti fatto bene. Sono realtà che hanno un loro consiglio d’amministrazione, un loro comitato scientifico, che possono lavorare in maniera profittevole. Basta pensare al Museo Egizio di Torino, che è riuscito a fare cose fantastiche ammirate da tutti. Rispetto a prima, quando i musei erano luoghi oscuri, polverosi, il visitatore non è più un intruso: l’arte, la cultura, la storia, sono patrimonio del cittadino stesso.

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