Ivano Marescotti

L’ironia illumina la realtà

Figlio della Romagna, attore per caso, nel corso della sua carriera ha conquistato anche Hollywood. Il protagonista del film “Bar Giuseppe”, diretto da Giulio Base, in esclusiva su RaiPlay, si racconta al RadiocorriereTv: “Più i personaggi sono lontani dalla mia identità e più mi diverto a farli. Cerco di non essere coinvolto personalmente, quando l’attore sparisce e compare il personaggio, l’attore assume una grande personalità”

Se ai primi minuti di visione il film sembra raccontare semplicemente l’incontro tra l’anziano Giuseppe e la giovane Bikira, migrante, appena arrivata in Italia dall’Africa, basta poco per accorgersi che la pellicola diretta da Giulio Base guarda soprattutto altrove…

Nel racconto non c’è la necessità di nominare Dio, il cattolico ha il massimo della rappresentatività e un laico, o addirittura un ateo, vede la storia da un punto di vista umanitario, umano. La parola “bar”, in aramaico, significa figlio. “Bar Giuseppe” è quindi “figlio di Giuseppe”. Bikira, in swahili, significa vergine. Leggendo il copione, quando ho visto che lei era incinta e il mio personaggio non l’aveva toccata, mi sono detto: vuoi vedere che stiamo narrando la storia di San Giuseppe? Il loro è un amore profondo. Quando Giuseppe si accorge che la moglie aspetta un bambino viene colto dalla gelosia, teme che sia stata violentata, o che ci sia qualcun altro. Ho scoperto il regista Giulio Base sul set e devo dire che mi ha sorpreso positivamente, eravamo d’accordo veramente su tutto. Lui è molto religioso, io sono ateo, ma la storia di Giuseppe e di Bikira è ben raccontata, molto bella, con tutte le tematiche attuali innestate nella storia religiosa millenaria. Da vero laico e comunista ho amato questo film.

Che società racconta “Bar Giuseppe”?

Una società composita in un paesino del Sud Italia che non viene nominato, è lo specchio del mondo di oggi, con tutte le contraddizioni contemporanee che evidentemente si trascinano da duemila anni. Ci sono gli immigrati, clienti del bar di Giuseppe, c’è chi vorrebbe mandarli via, c’è il razzismo. C’è una comunità scandalizzata dalla scelta di un uomo anziano di sposare una ragazza giovanissima.

Quanto Ivano c’è nello sguardo di Giuseppe?

È un discorso più generale, sono un buono perché il personaggio è un buono. Come attore ho fatto delle carogne, nazisti, fascisti duri, dei mafiosi assassini, ho fatto dei comunisti, dei preti, soprattutto dei cattivi, Giuseppe è il massimo del buono, è difficile fare un buono più buono di quest’uomo (sorride). Più i personaggi sono lontani dalla mia personalità e più mi diverto a farli, riscoprendo mondi e identità diversi dai miei, anche quando l’identità può avvicinarsi alla mia. Cerco di non essere coinvolto personalmente, tanto più l’attore sparisce e quanto più compare il personaggio, tanto più l’attore assume una grande personalità.

C’è un’età giusta per amare?

Ci sono amori di diverso tipo: quelli biblici, quelli sociali e quelli personali, intimi, e poi ci sono quelli affettivi familiari. Ci sono delle stagioni nella vita delle persone dove gli amori sono vissuti in una chiave e in un’interpretazione diverse, è così anche nella storia degli uomini. L’amore tra un uomo e una donna cinquecento anni fa era molto diverso da oggi, con presupposti differenti, ma anche solo cinquant’anni fa, prima del 1968, prima che le donne finalmente facessero una battaglia per la loro emancipazione rispetto al potere degli uomini, l’amore era ancora diverso.  Tutto è molto controverso e in evoluzione.

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