In nome della verità

Giovane e innamorato del proprio mestiere, della serie di cui è protagonista afferma: «In “Vivere non è un gioco da ragazzi” quel che accade spinge gli adulti a interrogativi difficili, li costringe ad aprire gli occhi sulle difficoltà che i giovani incontrano». Di Lele, il personaggio che ha portato in scena, racconta con affetto: «Lo definisco un romantico d’altri tempi che crede nell’amore a prima vista e, in nome di questo sentimento, farebbe di tutto»

Un racconto che mette al centro la vita di Lele. Come si è sentito ad affrontare questo viaggio?

All’inizio avevo un po’ di paura, era la mia prima esperienza da protagonista e sentivo un bel peso da portare. Sono stato però affiancato da persone fantastiche, sia dietro sia davanti alla telecamera. Dopo l’inziale paura, tutto è andato in discesa, è stato un viaggio divertente.

Chi è Lele?

Un giovane come tanti che viene da una famiglia umile, ama il calcio e le ragazze. Lo definisco un giovane romantico, un ragazzo d’altri tempi che crede nell’amore a prima vista e, in nome di questo sentimento, farebbe di tutto. Lele si lascia guidare dalle emozioni, prende decisioni spesso affrettate, al contrario di me che sono assolutamente razionale e, prima di decidere su qualcosa, devo pensarci un milione di volte e valutare tutto quello che potrebbe succedere.

Riccardo e Lele…

Rispetto al mio personaggio, io per fortuna ho superato il periodo del liceo, le prime scoperte e i primi amori, ecco perché credo di aver insegnato più io a Lele (ride). Diciamo che tutti i suoi “errori” e le conseguenze di alcune sue azioni, mi hanno illuminato, facendomi riflettere su come la troppa superficialità possa essere deleteria. Ci unisce il bellissimo rapporto con la propria famiglia, una relazione nel mio caso basata sulla condivisione, la chiave secondo me per un rapporto sano. La trasparenza rende tutto più bello e più forte.

Parliamo allora del mondo degli adulti nella serie…

Alcuni si rendono conto che nascondere ai figli cose ritenute “scomode”, potrebbe rovinare il rapporto con loro. In “Vivere non è un gioco da ragazzi” quel che accade spinge gli adulti a interrogativi difficili, li costringe ad aprire gli occhi sulle difficoltà che i loro ragazzi incontrano.

Quale aspetto dell’adolescenza l’ha spaventata di più?

Sono stato un adolescente felice, circondato da persone che mi amavano, amici stupendi. Il momento forse più brutto è legato a qualche problema fisico che ho dovuto affrontare, ho sofferto di acne molto pesante, e per un po’ di tempo mi sono sottoposto a terapie complicate, con controindicazioni forti. Pur essendo piccolo, avevo iniziato a lavorare nella pubblicità, e quando si entra nel mondo del lavoro si cresce molto più in fretta. Hai presto a che fare con i soldi, devi capirne il valore e come metterli via, ti ritrovi a frequentare molte persone, tutto ovviamente positivo, ma può capitare che si creino nuove paure.

Come si è trasformato il suo sogno da bambino oggi?

Da piccolo non avevo uno scopo preciso, non sapevo di voler fare l’attore, vivevo giorno per giorno, giocavo a pallavolo, frequentavo la scuola e non pensavo assolutamente a cosa avrei fatto nel futuro. Alla fine del liceo è arrivato il mio primo lavoro in televisione e, dal primo giorno di set, ho scoperto che questa sarebbe stata la mia strada. Questo desiderio, oggi, è ancora più forte.

C’è qualcuno che l’ha influenzata positivamente, spingendola a crederci ancora di più?

Sono stato veramente fortunato, in tutta la mia piccolissima carriera, intorno a me ho sempre avuto persone che mi hanno fatto amare questo lavoro, aiutandomi a scoprire la bellezza del cinema, la mia più grande passione oggi. Non posso dire che un solo incontro abbia contribuito alla mia crescita, tutti in qualche modo hanno aggiunto un tassello a ciò che mi appassiona: recitare.

Che cosa le dà la recitazione?

Mi fa stare bene, allenta tutte le tensioni, mi costringe a spingere le emozioni al limite, a rilasciare quella energia che nella vita si trattiene. Recitare mi dà tranquillità e leggerezza. Un po’ come una seduta dallo psicologo (ride).

Com’è andata con i grandi attori come Claudio Bisio, Stefano Fresi, Nicole Grimaudo?

Vederli recitare sul set è stato entusiasmante. Sono persone con i piedi per terra, simpaticissime, con me molto gentili. Ho incontrato attori disposti a darmi consigli che ho cercato di assorbire come una spugna. Sono queste le persone che aiutano ad apprezzare il proprio mestiere, ti fanno sperare di essere, anche tra vent’anni, come loro, innamorati di quello che fanno.

La verità è al centro della narrazione della serie…

Nella vita sono ancora in cerca della mia verità, del mio essere e il fatto che stia scoprendo la mia spiritualità influisce molto in questa ricerca. Io sono una persona sincera, come dicono gli inglesi, cerco di essere “true to yourself”, vero rispetto a quello che si è.  In “Vivere non è un gioco da ragazzi” se Lele avesse detto la verità fin da subito, molti dei problemi che vengono fuori si sarebbero potuti evitare. Dalla verità non si può fuggire, mai.

Anche se per finzione, come si è trovato a passare dall’interrogazione all’interrogatorio con Bisio?

In questo romanzo di formazione un sassolino smuove una valanga, una piccola decisione può cambiare la tua vita in un attimo. Per fortuna non è stato proprio un incubo per me perché avevo Claudio Bisio davanti, ma pensare di trovarmi in una situazione di questo genere è davvero terrificante. Meglio l’interrogazione tutta la vita (ride).

Quando ha scoperto di avere il talento necessario per rischiare?

Le prime volte che sono stato scelto pensavo a un colpo di fortuna, poi però ho cominciato ad avere fiducia nelle mie capacità, grazie anche agli incoraggiamenti di chi, con un complimento, con uno sguardo complice, sentiva in me qualcosa di profondo. Alla fine, un attore punta a questo, ad avere un feedback dagli altri. Non c’è stato quindi un momento preciso, è qualcosa che accade tutti i giorni, cerco di ricordare sempre l’amore che sento per il mio lavoro.

Quale messaggio spera possa arrivare dalla serie a un ragazzo come lei?

Parlando di verità, spero arrivi veramente il motivo per cui è stata realizzata questa serie, riflettere sul fatto che le cose, spesso, possono avere una doppia faccia. Pensi alla droga come sballo, stai bene per un attimo e, dopo, tutto il tuo mondo rischia di crollare. Ecco perché anche questo racconto invita a razionalizzare le proprie scelte, a prendersi del tempo per valutare quello che si fa. Si parla di tantissime cose, di amicizia, di amore, del rapporto tra genitori e figli, ci sono tantissimi topic che spero colpiscano il pubblico.

La presenza di molte piattaforme digitali e di conseguenza di una elevata produzione è un’opportunità in più per i giovani attori?

Sono certamente a favore delle piattaforme, più si produce, maggiori sono le opportunità professionali, d’altro canto, essendoci un marasma di roba, è difficile decidere il progetto giusto. Penso che un attore che si affaccia ora in questa realtà non debba avere la fretta di dire sì a tutte le proposte, se vuoi rimanere nella legacy del cinema italiano, devi scegliere bene e non avere la smania di esserci a tutti i costi.

Cosa le regala nella vita l’adrenalina, la felicità?

Gli amici, la bella della compagnia. Un sabato pomeriggio al parco, fare un picnic con le persone che ami. Per me è il massimo di piacere.

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