Il piacere di saperne di più
GIOVANNI MINOLI
Con “Mixer – Vent’anni di televisione” il giornalista rilegge i grandi temi della storia italiana e internazionale di fine Novecento, raccontati dal 1980 al 1998 dal programma cult della Rai. Il giovedì in seconda serata su Rai 3
Possiamo dividere l’informazione Tv tra prima e dopo “Mixer”. Cosa le fece capire, nel 1980, che era il momento di osare?
Non di osare, era cambiato il mondo e noi l’abbiamo interpretato. Erano nati il telecomando e le televisioni private, quindi i programmi culturali della Rai, se volevano sopravvivere, dovevano per forza reinventarsi in un altro modo. Noi lo abbiamo fatto, cogliendo la palla al balzo. Abbiamo incorporato il telecomando dentro la scaletta della trasmissione, cambiando soggetto ogni venti minuti. Per di più abbiamo fatto un uso molto spinto e molto avanzato della tecnologia.
Da subito il programma ebbe grande consenso di pubblico, gli addetti ai lavori e i critici come lo accolsero?
Venne visto come una cosa assolutamente nuova, che ribaltava tutti gli stereotipi delle riprese televisive. Il faccia a faccia, fatto in quel modo, era qualcosa di rivoluzionario. Rimasero tutti molto sorpresi, colpiti.
Ha intervistato centinaia di protagonisti della vita pubblica italiana e internazionale, quali incontri ricorda con più affetto e interesse?
Li ricordo tutti con enorme affetto, ognuno ha una sua storia particolare.
Lei è un giornalista che non le ha mai mandate a dire…
No…
… ci fu qualcuno che le fece perdere le staffe?
A me no, forse io le ho fatte perdere a qualcuno. Sono sempre rimasto lucido e presente a me stesso.
Come costruisce un’intervista?
Studiando moltissimo il personaggio e costruendo una sorta di sceneggiatura, psicologica e razionale, dove si alternano momenti diversi che cambiano rapidamente.
C’è una domanda che non farebbe mai a un suo intervistato?
No, ho sempre fatto tutte le domande che mi venivano in mente. Se non ne ho fatta qualcuna era perché non mi è venuta in mente.
Come si pone di fronte a chi le sta spudoratamente mentendo?
Con la domanda successiva, sbugiardandolo.
Le è capitato spesso?
Mi è capitato.
Se avesse la possibilità di intervistare Putin e Zelensky, cosa chiederebbe all’uno e all’altro?
Mi lasci studiare bene, poi glielo dirò.
Com’è cambiato, se è cambiato, negli anni, il modo di intervistare dei giornalisti nei programmi di approfondimento?
Ho l’impressione che i giornalisti, prevalentemente, invece di intervistare, porgano il microfono. Il lavoro lo fanno gli uffici stampa, che concordano più o meno quasi tutto prima.
Vede una Tv troppo concordata?
Molto concordata.
Cosa le fece capire che “Mixer” stava cambiando per davvero la narrazione televisiva?
Il fatto che vedevo che tutti cercavano di fare qualcosa di simile.
Negli ultimi anni ha scelto la radio, ora torna anche in televisione. Qual è la casa in cui le piace di più raccontare?
Tutte e due le case. La radio ha il vantaggio di essere più sexy della televisione perché eccita maggiormente la fantasia, uno deve immaginare, si fa il suo film. Poi oggi la televisione è diventata radio nel novanta per cento dei casi, sempre la stessa, sempre più “chiacchierata”. Se è per chiacchierare, dato che la differenza tra radio e televisione dovrebbe essere data dalle immagini, tanto vale fare la radio che costa meno ed è più veloce.
Come vede il futuro dell’approfondimento televisivo?
Dipende da chi lo farà.
Cosa augura a Giovanni Minoli?
Di morire lavorando.
E ai telespettatori italiani?
Di essere trattati come cittadini e non solo come consumatori.