Il mio bellissimo presente
Damiano Gavino
Scoperto da Alessandro D’Alatri, il giovane attore romano, tra i protagonisti anche della seconda stagione di “Un Professore”, è ormai stato lanciato nell’Olimpo del cinema e della tv: «È grazie a lui se io sto vivendo una vita così, è grazie al suo coraggio che ho iniziato a fare questo mestiere»
Due artisti in famiglia… come stanno vivendo tutto questo i suoi genitori?
È stato molto bello per loro quando mia sorella ha deciso di intraprendere la strada della recitazione, era una novità per la famiglia. Lea stava studiando all’università – che ha terminato – e, poco dopo, per caso, anch’io mi sono ritrovato a frequentare questo ambiente. Diciamo che è stato un po’ destabilizzante, anche perché sappiamo tutti che quello dell’attore è un mestiere che comporta dei rischi, ci si espone e si vive nell’insicurezza, qualcosa che spaventa chi cerca di farlo, figuriamoci un genitore. All’inizio, quindi, è stato un colpo, ora però la vivono benissimo, sono orgogliosi di noi e dei risultati che stiamo ottenendo. Per “Un Professore” organizzano anche le serate con gli amici, erano presenti alla prima di “Nuovo Olimpo”, si divertono molto.
Poco più che ventenne, eppure mostra una maturità, anche professionale, invidiabile. Il segreto?
Il fatto che mia sorella faccia questo mestiere da più tempo mi ha certamente aiutato. Allo stesso tempo, sono sempre stato uno che ha cercato di informarsi prima di muovere qualche passo, ho provato a capire come funzionava questo mondo dietro le quinte. Diciamo che ho sempre voluto avere a che fare con il cinema, mi mancava solo il coraggio di iniziare. Mi ha aiutato molto la consapevolezza che insieme al fascino del mestiere, è importante non dimenticare gli aspetti negativi, i no ai provini, le lunghe attese tra un lavoro e un altro, le critiche…
Non ha frequentato scuole di recitazione, la sua scuola sembra essere una straordinaria emotività e spontaneità che si traduce in sensibilità artistica. Si riconosce?
Quando recito cerco di portare in scena i sentimenti del personaggio che interpreto, nel modo in cui li ho vissuti nella mia vita, attingendo alle mie esperienze. Senza dubbio, come attore provo a replicare in scena la mia sensibilità, anche se nel quotidiano nascondo questo lato del mio carattere per proteggermi, per non apparire troppo vulnerabile. Quello che invece mi ha davvero aiutato, nel lavoro come nella vita, è stato dare sempre peso alle parole, al loro significato, per non rischiare di usarle a sproposito.
Il successo enorme della prima stagione di “Un Professore” ha catalizzato l’attenzione di tutti per voi nuove leve di attori. Come è riuscito a concentrarsi dopo il successo?
È una bella sensazione sapere che quello che fai emoziona le persone e che, quando hanno l’occasione di incontrarti, mostrano il loro affetto, ti raccontano come il tuo lavoro abbia portato dei frutti nella loro vita. Non avendo cercato all’inizio di diventare a tutti i costi un attore, so bene cosa significhi essere fan, lo sono anch’io quando incontro una persona che stimo: faccio di tutto per farglielo capire. Trovarmi ora dall’altra parte è stimolante, non sento pressione perché ancora vivo serenamente il mio privato.
Come la mettiamo con sua “madre” Claudia Pandolfi?
Claudia dice spesso che sono suo “figlio” veramente (ride), lei è una donna piena di energia, fuori e dentro il set, una carica per tutti. I rapporti bellissimi che si sono creati sul set hanno una origine: Alessandro D’Alatri.
Ci racconta la sua esperienza con il regista che l’ha scoperta?
È stato un incontro importante per la mia vita e per la mia carriera, nei suoi confronti sento tanta gratitudine. È grazie a lui se io sto vivendo una vita così, gli devo il mio presente, è grazie al suo coraggio che ho iniziato a lavorare come attore. Ha combattuto per avermi nel cast, rappresentavo un rischio, perché non avevo nessuna esperienza, non avevo mai studiato recitazione, non aveva idea di come avrei lavorato o di come avrei reagito a tutte quelle luci, alle macchine da presa, a tutte le persone. A lui devo dire grazie anche per le meravigliose persone che è riuscito a mettere insieme.
Come sta Manuel?
È sempre un po’ sfacciato, tormentato, anche perché a questo povero ragazzo succede di tutto, deve affrontare situazioni molto complesse per uno della sua età. Allo stesso tempo Manuel è maturato, come spesso accade quando, dopo tre mesi di vacanza dalla scuola, dopo aver staccato dall’impegno scolastico per un lungo periodo, hai vissuto la pausa estiva con più leggerezza, ti ritrovi a settembre con più esperienza e con una consapevolezza diversa. È stato così anche per quando ero studente, dopo la scuola era il tempo del riposo e dello svago totale, ma anche un profondo momento di riflessione in cui sentivi che qualcosa dentro di te stava cambiando, crescevi tu e quelli che ti stavano intorno. Manuel è cresciuto fisicamente ovviamente, perché in questi due anni sono cambiato anch’io (ride), emotivamente è meno impulsivo e indulgente con chi nella vita è stato costretto a fare delle scelte.
La filosofia del professor Balestra unisce tutti gli episodi della serie, qual è, invece, la sua filosofia di vita?
Vivere giorno per giorno senza farsi troppi problemi su come sarà il domani. Cerco di non farmi troppe domande, prendo il buono di ogni attimo, perché non c’è mai un momento vuoto, si impara sempre, sia stando fermi, sia impegnandosi in molte cose… è un esercizio continuo per comprendere cosa ci fa star bene o cosa ci rende felici.
Tra le tante domande esistenziali che l’essere umano si pone, a quale non le interessa dare una risposta?
Dove siamo realmente, se ci sono altre forme di vita, lontane, vicine, se viviamo in una realtà truccata, come vogliono farci credere le teorie complottiste, che spesso mi fanno ridere, altre volte invece riflettere. In generale, meglio non avere risposta, mi angoscia troppo.
A un certo punto della sua vita è arrivato un regista che l’ha portata sull’Olimpo. Come si sta?
A Ferzan Ozpetek sono grato tantissimo, mi ha dato un’opportunità enorme, far vivere sullo schermo la sua storia. Mi sono sentito onorato che lui abbia riconosciuto in me qualcosa di lui, mi ha fatto venire i brividi. Se avessi l’opportunità di girare questo stesso film adesso, avrei interpretato Enea in una maniera totalmente diversa, perché le mie emozioni, il mio vissuto è diverso.
Nel film si raccontano molto gli anni Settanta, un periodo storico in cui la parola d’ordine era libertà. Che valore assume per lei questa parola oggi?
Questa parola diventa negli anni sempre più complicata, ognuno ha la propria visione di libertà. Per me significa riuscire tutti a vivere in maniera serena. La libertà per me è serenità, nell’esprimersi, nel vivere, nell’esporsi… Se mi guardo attorno, oggi non la trovo e mi viene da pensare che tutta questa libertà non c’è. Nel mondo ci sono tante persone impegnate in nome di questa battaglia, vorrei che nessuno smettesse mai di lottare per la propria libertà, soprattutto noi giovani e il nostro desiderio di esprimere quello che siamo.
Sappiamo che è anche un appassionato di musica, in questo periodo della sua vita che musica, che canzone si sente?
La musica mi aiuta spesso, ci sono canzoni che per qualche mese ascolto almeno tre volte al giorno, e poi le metto completamente da parte, ma che sono associate a periodi precisi della mia vita. In questa fase, anche per motivi di lavoro, seguo il ritmo di Jim Croce, in particolare il disco – “You don’t mess around with Jim”, ritmi country e blues anni Settanta.