Il mare è desiderio, paura e speranza
LINO GUANCIALE
L’attore abruzzese, tra i protagonisti di “Sopravvissuti” al RadiocorriereTv: «Ogni passeggero dell’Arianna è reso uguale agli altri dal non avere più niente, è il dato per combattere e sopravvivere». Lunedì 10 ottobre le nuove puntate della serie di Rai 1 diretta da Carmine Elia
Il naufragio, la morte e la disperazione. Quindi il ritorno a casa dei superstiti e per loro un grande segreto da proteggere…
Credo che ci si possa immedesimare tanto nella vicenda di queste persone che ci somigliano molto. L’equipaggio è variegatissimo e rappresenta un po’ un campione statistico, con classi e provenienze diverse, del nostro Occidente privilegiato. Ognuno di loro si trova però democraticamente reso uguale agli altri dal non avere più niente, è il dato per combattere e sopravvivere. Di fronte a tutto questo la scelta è molto difficile e altrettanto chiara: che cosa sei disposto a sacrificare, di quello in cui credi, moralmente, per sopravvivere? Anche chi come il mio personaggio, Luca Giuliani, si trova a difendere fino in fondo ciò che ci rende umani davvero, ed è guidato dal desiderio di tornare a casa, punto e basta, si trova davanti questo muro, perché restare umani costa moltissimo. Chi ci seguirà fino al 12° episodio vedrà davanti a quali scelte e dubbi, che sono quelli della nostra vita quotidiana, si troveranno i personaggi. Il filo d’Arianna è questo, la catena di scelte che fai per tornare a casa.
Il mare, così come il viaggio o la sopravvivenza. Questa vicenda è ricca di elementi simbolici, a quali si sente più vicino?
Al mare, cosa che non avrei detto fino a qualche anno fa. Non sono nato in un luogo con il mare a disposizione, non sono cresciuto con il mare nel mio paesaggio o come sfondo fisiologico dell’orizzonte, però sono cresciuto con il mare come orizzonte della mente. Da bambino, poi da ragazzo, sono stato appassionato di romanzi d’avventura, da Stevenson a Verne, a Salgari, e lì il mare c’è sempre, lo respiri anche quando non c’è. Ho sempre contemplato il mare all’interno dei miei pensieri come simbolo del desiderio, della paura e anche della speranza. Niente ti fa sperare di più se non vedere l’orizzonte lontano del mare. Anche negli spettacoli che ho fatto negli ultimi anni il mare c’è sempre stato, e ora c’è “Sopravvissuti”, in cui c’è tanto. Sono contento che questa serie mi abbia dato la possibilità, umana prima ancora che professionale, di approfondirne la conoscenza da un punto di vista tecnico. Questo gesto primitivo, se si vuole, ma decisivo che l’uomo fa da millenni, di solcare il mare con le vele, è una cosa di enorme fascino. Essere in grado, adesso, di orientarmi meglio in quel linguaggio, mi ha dato come l’impressione di avere imparato davvero una lingua nuova con una letteratura molto appassionante…
Un rapporto divenuto più consapevole…
… mi sono sentito come se potessi, d’un tratto, leggere correntemente il giapponese e tutta la meravigliosa letteratura medievale giapponese. È stata la stessa sensazione, potere leggere meglio che cosa significhi andar per mare.
Tra i protagonisti di questa avventura ci sono quattro giovani sceneggiatori. Che valore aggiunto hanno portato?
Questo è un progetto enorme sin dal concept, che è tutto loro. Sono stati poi capacissimi di tradurre un’ottima idea iniziale, un ottimo soggetto, in una sceneggiatura completa, complessa, stratificata, che ha dato tanto materiale a noi attori e che ci ha consegnato soprattutto la bellezza di poter lavorare non tappando dei buchi o “accontentandoci” dello script. Ho trovato poco di già letto, perché anche lì dove ti trovavi a esplorare situazioni di conflitto di coppia, di conflitto intergenerazionale, di dinamiche action, già sperimentate in racconti più classici, il contesto era talmente nuovo che acquisiva un altro valore. Un lavoro importante parte sempre dalla scrittura, la chiave di tutto, insieme ai mezzi che hai per sognare la serie nel momento in cui la scrivi.
Trovare equilibrio in un racconto corale non è spesso facile, soddisfatto del risultato raggiunto?
Credo che le narrazioni seriali moderne più forti siano quelle corali, in cui magari c’è un personaggio che fa da chiave d’accesso privilegiata per fare entrare lo spettatore nella storia, ma in cui poi i protagonisti sono tanti. Sono costruiti così tantissimi successi degli ultimi anni, “Madmen” ha Don Draper, ma vogliamo dire che gli altri siano dei comprimari? Sono dei protagonisti della narrazione. Stessa cosa che accade in “Euphoria”, con Rue. Sono tutti quanti protagonisti di ciò che accade, nessuno è un personaggio secondario. Anche se poi il protagonista è leggibile, in realtà la sua sovranità è negoziata con il desiderio di restituire allo spettatore uno scenario il più ricco possibile, con tante diverse figure in cui riconoscersi, specchiarsi od oggettivare qualcosa di distante da sé. Le grandi storie sono fatte così, ti offrono tante cose davanti per godere di più del racconto a cui assisti. Non sono mai stato un fan delle narrazioni con un protagonista verticistico.
Genova città di mare, com’è andata?
Benissimo, l’abbiamo vissuta in un periodo estremamente particolare perché eravamo in piena seconda ondata ed è durata otto mesi. Abbiamo vissuto tanto chiusi in albergo, tanto nelle piazze della città con capienza ridotta, in virtù delle fasce gialle o rosse in cui molto spesso la Liguria e la città di Genova finivano. Nonostante queste difficoltà l’abbiamo vissuta come uno scenario ideale. È un paesaggio cinematografico estremamente ricco, che ti restituisce sia l’implacabile freddezza di alcune architetture, funzionale per un certo tipo di racconto, sia il calore di altri scorci, come quelli della città vecchia, che allo stesso tempo si portano dietro un carico di bellezza e potenziale claustrofobico che sono l’ideale per una narrazione come la nostra. Genova è versatilissima e si consegna, nelle mani di chi gira lì una storia, abbastanza trasversalmente rispetto ai generi da ambientarci.
Lino Guanciale protagonista ancora una volta sullo schermo e adesso anche in libreria con un libro al quale tiene particolarmente, com’è andato questo debutto?
Il 20 settembre è uscito in libreria “Inchiostro”, un lungo racconto illustrato che ho pubblicato con Round Robin, una bellissima casa editrice indipendente, e con le illustrazioni di Daniela Volpari, disegnatrice meravigliosa. La storia è concepita per essere letta tutta d’un fiato, difficile anche lì parlare di inquadramento di genere. Chi l’ha letto, e lo ha amato, ha parlato di una specie di solco da Piccolo Principe intrapreso da questa scrittura, e ne sono lieto. Questo racconto io l’ho visto un po’ crescermi fra le mani durante il lockdown. Ho sempre scritto tanto, però funzionalmente al lavoro, come ritratti di personaggi che dovevo interpretare. Questa volta mi è nata una storia che ambiva a finire nelle mani di qualcuno che la leggesse, e così ho dato soddisfazione a un bisogno. Chi lo legge mi dice come sia molto facile riconoscersi nella protagonista nonostante l’assurdità di ciò che le capita: i suoi tanti tatuaggi impazziscono, prendono vita propria e cambiano continuamente posizione sul suo corpo finché lei non capisce che vogliono dirle qualcosa e comincia a seguirli. Sono loro a indicarle la strada verso un cambiamento importante. Essere alle prese con cambiamenti o sconvolgimenti importanti, torniamo anche a “Sopravvissuti”, è una cosa in cui ci si riconosce. Tutti noi siamo sempre o in procinto di attraversare, o stiamo attraversando, o abbiamo appena attraversato, delle soglie importanti nelle nostre vite, con tutto quello che costa farlo.