Il dizionario degli errori

Bella e misteriosa, capace di farci emozionare e sorridere. Di migliorare (e talvolta anche complicare) la nostra vita. La lingua italiana è uno scrigno prezioso ma anche un labirinto pieno di tranelli in cui è facile perdersi. Tra curiosità, aneddoti e motti di spirito, Massimo Roscia con “Errorario” va alla ricerca del significato autentico di alcuni vocaboli, della loro etimologia, delle origini, della storia, del valore stilistico e dell’uso corretto

Perché ha deciso di scrivere “Errorario”?

Riprendo la mia ultradecennale crociata in difesa della lingua italiana armato, ancora una volta, non già di una lancia, di una mazza ferrata, di una spada, ma del sorriso. Sorridiamo, non deridiamo chi commette errori. Gli errori non sono motivi di onta, non sono azioni di cui vergognarsi, gli errori capitano abitualmente a chiunque. Io stesso, per quanto maneggi piuttosto bene la lingua italiana ne commetto tanti, sono assalito costantemente dei dubbi, ed è del tutto normale. A volte possono dipendere da un limite oggettivo, ma molto spesso nascono da una semplice svista, dalla fretta, da un’esitazione, da un banale malinteso, dall’interpretazione delle norme, talvolta ambigue. Dobbiamo trasformare questi errori, che abbiamo detto essere fisiologici e del tutto legittimi, in opportunità, in occasioni concrete per migliorarci. Gli errori, hanno una funzione formativa, sono un passo indispensabile verso la conoscenza e rendono gli uomini amabili.

Quali sono gli errori più comuni?

Per comodità espositiva li raggruppo in famiglie, per quanto sfuggano ai vari tentativi di catalogazione, essendo ibridi, cangianti, si mimetizzano. Ci sono i “piccoli sfigati”, quelli purtroppo più frequenti, perché la maggior parte degli errori commessi dagli italiani a danno della lingua italiana riguarda i segni graficamente più piccoli: accenti, apostrofi, punteggiatura. Seconda famiglia i “grandi classici”, intramontabili, gli avvolte tutto attaccato, gli apparte tutto attaccato, i pultroppo, i propio. Ma anche la lettera “h”, che compare e scompare, e su tutti il congiuntivo, che sappiamo essere un modo verbale straordinariamente bello, perché è il modo del dubbio, dell’incertezza, della probabilità, della speranza, ed è tra i modi verbali più difficili da coniugare. Ci sono i “tormentoni”, gli assolutamente sì e assolutamente no, un attimino, formule d’esordio come e niente, poi ci sono gli “inflazionati”, parole che prese singolarmente sono bellissime ma che nell’uso eccesivo, ripetuto e decontestualizzato si svuotano di significato, penso a iconico, distopico, resiliente. Non riesco più a leggere un articolo o ad ascoltare un servizio giornalistico senza sentirli ripetere più volte. Per i “fastidiosi” lascio i lettori a stilare la propria classifica, perché si entra nella sfera personale. Per quanto mi riguarda combatto da tempo apericena e buongiornissimo, mutuato dal gergo giovanile. E poi i “malapropismi”, ma in questo caso rischiamo di scrivere un’enciclopedia, scambi di parole, talvolta voluti e altri accidentali, che si assomigliano pur avendo significati differenti. Sostituire una parola con un’altra, dal suono simile ma dal significato completamente diverso produce effetti comici: dalla legge del contrabbasso ai buoni ortofruttiferi, dall’insetto nasale deviato alla soda acustica, dalla poltrona declinabile al tavolino in ferro abbattuto.

Gli errori hanno una caratterizzazione geografica?

Gli errori sono veramente democratici, ecumenici, ci uniscono perché non fanno distinzione di età, di ceto sociale, di area geografica. L’errore è la vera espressione di democrazia.

Quali sono gli errori più comuni commessi tra chi ha un elevato grado di istruzione?

Più che di errori parlerei di dubbi. Io faccio ammissione di colpevolezza sull’aggettivo succubo: ho sempre usato succube e mai succubo, con la “o” finale, che invece è la parola più vicina al nostro latino. Entrambe sono valide ma succubo è la più corretta. Quando parliamo del dizionario della lingua italiana parliamo di 400 mila parole, i dubbi sono inevitabili. L‘italiano ha 100 regole e 150 mila eccezioni alle regole. Pensiamo al plurale dei nomi composti… (sorride). Anche chi ha dimestichezza con l’italiano si trova molto spesso a grattarsi la testa. Il consiglio che do a tutti, anche a chi è di livello culturale alto, di abbracciare, di compulsare il dizionario della lingua italiana. È quella la strada.

Cosa l’ha portata ad amare tanto la lingua italiana?

È così da sempre, da quando sono nato ho questo rapporto di patologica ossessione per le parole e per i giochi di parole.

C’è un errore più nero di tutti gli altri?

Soffro in silenzio nel veder maltrattata la lettera “h”. Ecco, quando leggo “io vivo ha Roma” sto proprio male. Ma anche lo scambio disinvolto tra il si e il accentato, tra il pronome riflessivo e la particella affermativa.