Il Conte di Montecristo
Una storia senza tempo
«Il romanzo di Dumas diventa una serie tv, con il doppio cuore italiano e francese, un progetto ambizioso che unisce due grandi broadcaster: France Television e Rai. Questo lavoro nasce da lontano, una serie imponente, che tratta temi universali» afferma Maria Pia Ammirati, direttrice di Rai Fiction, sul kolossal in onda da lunedì 13 gennaio su Rai 1
SAM CLAFLIN
Ho passato gli ultimi 15 anni in prigione per un crimine che non ho commesso… ho intenzione di scoprirne il motivo e quando lo farò,
punirò tutte le persone responsabili. Non chiamarmi mai più Edmond,
d’ora in poi io sono “Il Conte di Montecristo”
Mi sento profondamente fortunato ad aver avuto l’opportunità di interpretare un ruolo così affascinante e complesso come quello di Edmond Dantès ne “Il Conte di Montecristo”. Questo personaggio è ricco di sfumature, intenso e profondo, e per me è stata un’occasione unica nella vita. Sarò eternamente grato anche per tutte le ore di trucco a cui mi sono sottoposto: un sacrificio che valeva ogni secondo. Edmond Dantès mi ha lasciato un segno indelebile. Interpretarlo è stata un’esperienza che mi ha aiutato a guardare la mia stessa vita da una prospettiva diversa. Certo, la vendetta è un sentimento distruttivo e sbagliato, ma non ho potuto fare a meno di ammirare la straordinaria dedizione e concentrazione del personaggio, la sua capacità di lottare con tutte le sue forze per ciò in cui crede. Nessuno può davvero immaginare cosa significhi mettersi nei panni di un uomo rinchiuso per oltre dieci anni in un carcere da innocente. Quando si affronta un ruolo come questo, è necessario capirlo profondamente, amarlo e, in qualche modo, entrare in sintonia con lui. Io, personalmente, non sono una persona vendicativa e non potrei mai spingermi ai suoi estremi. Tuttavia, ho ammirato immensamente la sua determinazione e la sua capacità di trasformare il dolore in forza. Edmond Dantès non è solo un personaggio: è una lezione di resistenza, fede e trasformazione.
BILLE AUGUST, regista
Una produzione internazionale da kolossal…
Grazie alla quale ho avuto la possibilità di scegliere in tutto il mondo gli attori migliori per ogni ruolo, interpreti straordinari che hanno messo tutta la loro anima, tutto il loro cuore nel dare vita a questa storia.
Una serie che ha il fascino del cinema qual è stata l’ambizione più grande nel misurarsi con il capolavoro di Dumas?
Il Conte di Montecristo è la storia più affascinante, più interessante, più complessa di vendetta mai raccontata nella storia. La premessa è che, se mi avessero proposto di realizzare un film, un lungometraggio al posto di una serie di otto ore, sicuramente non avrei accettato perché non sarebbe stato possibile rendere al meglio la completezza di questa storia. Il punto di interesse maggiore di questa storia è la vicenda di Edmond Dantès, un giovane uomo che viene ingiustamente imprigionato per quindici anni, un periodo lunghissimo durante il quale la sua unica ossessione è quella di vendicarsi. Quando finalmente esce di prigione è pieno di odio, pieno di desiderio di vendetta, che riuscirà a portare a termine, rendendosi però conto, alla fine, di non essere comunque un uomo felice. Quella sete, quell’odio lo hanno divorato dall’interno.
Una storia universale…
Ogni volta che si decide di adattare un film per il cinema o per piccolo schermo basato su un romanzo si è consapevoli del fatto che per essere fedeli bisogna prendersi delle libertà, a volte anche essere leggermente infedeli a quella che è la storia originale. Vista la complessità narrativa e il modo in cui la storia viene presentata, abbiamo necessariamente apportato qualche cambiamento, condensato, per esempio, in un personaggio più personaggi, ma senza mai allontanarsi dal focus, ovvero questa sete di vendetta. Quello che mi interessava era costruire una rete profonda di relazioni personali fra i vari personaggi, la vera impalcatura su cui regge il film. Funziona così bene che il pubblico riesce a identificarsi con loro, a stare dalla loro parte, a seguirli. L’obiettivo per me era creare un ambiente in cui potesse nascere la magia e, con gioia posso dire che, a volte, su queste scene è avvenuto davvero qualcosa di magico.
Gabriella Pession
Hermine, una donna che brilla per i suoi gioielli, ma cosa nasconde nel suo animo?
È vero: Hermine è una donna che trova luce nei suoi gioielli, ma dentro di sé cela un inferno. Nel contesto sociale e nell’epoca in cui vive, è costretta a negare la cosa più preziosa che possa capitare a una donna: aver dato alla luce un figlio legittimo, un figlio che per ragioni oscure doveva sparire. Dopo il parto, le fanno credere che il bambino sia morto, strappandoglielo dal seno per poi seppellirlo. Solo anni dopo scoprirà che, in realtà, quel figlio è sopravvissuto. Quella che vediamo è una donna di mondo, sofisticata, perfettamente a suo agio nelle dinamiche della società, capace di presenziare a ogni evento e di gestire abilmente denaro e investimenti. Una figura moderna per il suo tempo, ma che porta dentro di sé un dramma inconfessabile, un trauma che, lentamente, la divorerà dall’interno. Se Edmond è consumato dalla vendetta, Hermine è lacerata dal dubbio e dal senso di colpa: suo figlio è vivo o morto?
Tra vendetta e perdono: dove si posiziona questa donna?
Perdonare è un atto di volontà e coraggio, ma Hermine non intraprende questa strada. Non è un personaggio che si allinea con il perdono: il mistero che la circonda, il dolore represso e la rabbia scatenata dalla violenza che ha subito – un figlio strappato via – la portano gradualmente a perdere il controllo. Il suo percorso culmina nella follia, una dimensione che non è presente nel romanzo di Dumas, ma che abbiamo scelto di esplorare. Dopo aver letto la sceneggiatura, insieme al regista abbiamo deciso di introdurre questo cambiamento. Abbiamo girato una scena cruciale a Malta, in un carcere, dove Hermine si trova in completo isolamento. In quella cella, sotto il peso insostenibile di una realtà distorta, crolla definitivamente nella follia. È stato un “tradimento” necessario per approfondire i sentimenti di una donna che non riusciva più a sopportare il peso del non detto.
Cos’ha rappresentato per lei questa occasione?
Questa è stata per me un’occasione straordinaria per tornare su Rai 1, dopo tanti anni lontana dalla televisione che amo profondamente. Voglio ringraziare la Rai per questa opportunità e Palomar, in particolare Carlo Degli Esposti, il mio primo produttore quando avevo solo diciassette anni. Per me lui è come un buon padre, e lavorare insieme a lui è stato come tornare a casa, questa volta con un bagaglio arricchito dal mio percorso internazionale. Sono molto felice di ritornare sul piccolo schermo con un progetto così importante, diretto da un grande maestro. Dopo la scomparsa di Lina Wertmüller, che è stata la mia guida all’inizio del mio cammino artistico, ho incontrato dopo vent’anni un altro maestro, Bille August. Spero che non passino altre vent’anni prima di incrociare di nuovo una figura di questa statura. Il mio ringraziamento va a tutti i membri della produzione, del cast e della troupe. E un plauso speciale a Sam, che è stato un Montecristo straordinario.
Nicolas Maupas
Il suo personaggio incarna più di altri la colpa dei padri che ricade sui figli. Cosa le è rimasto addosso di Albert?
È vero, Albert è profondamente vittima del contesto e della società in cui vive, ma dimostra una straordinaria capacità di evolversi. Alla fine della storia, riesce a fare la scelta giusta: non scende a compromessi con la corruzione morale e si allontana da tutto ciò a cui inizialmente aspirava. La lezione più preziosa che ho imparato da Albert è la sua integrità, la sua capacità di restare saldo sui propri valori anche di fronte alle pressioni più forti. È un esempio di forza morale che mi ha accompagnato durante tutto il periodo delle riprese. Credo che, al suo posto, anch’io avrei fatto la stessa scelta. Albert è stato una guida, un modello di coerenza e rettitudine che porterò sempre con me.
Nella tela intessuta da Dantes, come si muove Albert verso il perdono?
Inizialmente Albert rimane affascinato dal Conte di Montecristo, attratto dalla sua misteriosa figura. Tuttavia, quando inizia a comprendere le ragioni profonde che muovono quest’uomo, emerge la sua vera personalità. Albert è dotato di una sensibilità e di un’intelligenza che gli permettono di riconoscere un’importante verità: la vendetta è una promessa non mantenuta. Nonostante l’apparente soddisfazione che può derivare dal vendicarsi, Albert ha il coraggio e la lucidità di capire che il perdono è una scelta più potente e, in ultima analisi, più appagante. È un giovane che osserva attentamente ciò che accade intorno a lui: vede il declino morale del padre, il disfacimento della sua famiglia sotto il peso della corruzione, e trae una conclusione netta e inequivocabile. Albert comprende che l’unica strada possibile è quella del perdono, e questa consapevolezza lo distingue come un personaggio profondamente umano e ispiratore.