Gli anni più belli

Il tempo, il grande burattinaio della vita

“Nel film c’è il racconto di tutte le nostre fatiche, sconfitte e vittorie, e delle cose che ci fanno stare bene, che sono quelle più semplici, quelle che avevamo a portata di mano durante l’adolescenza, ma ancora reperibili, se lo vogliamo, nell’età adulta, se riusciamo a trovare la quadra e accettarci per quello che siamo divenuti” così Gabriele Muccino ha presentato il suo ultimo lavoro, la vita di quattro amici nella storia che si ripete

Maestro nella narrazione delle emozioni, Gabriele Muccino porta al cinema, dal 13 febbraio, “Gli anni più belli”, il racconto di quarant’anni di vita di quattro adolescenti che diventano uomini. Nel mezzo la storia del nostro Paese, con i suoi cambiamenti, le sue sfide e le speranze infrante. «Il vero motore del film –  afferma il regista – è il tempo che ci modella. Crediamo di controllare le nostre vite mentre l’unico vero burattinaio è il tempo che passa e ci modifica lentamente, ci fa accettare le cose che ci parevano inaccettabili, ci disillude, ci disincanta, eppure ci incanta di nuovo, all’improvviso, facendoci sentire adolescenti, anche quando non lo siamo più». Ed è il tempo che segna i personaggi del film – Giulio, Paolo, Riccardo e Gemma – nati alla fine degli anni ’60, all’ombra delle grandi ideologie che hanno accompagnato le trasformazioni dell’Italia. «Una generazione percepita come “nata troppo tardi” per cambiare il mondo, cresciuta con il complesso di non essere abbastanza reattiva, abbastanza colta, abbastanza rivoluzionaria». Ma se è vero che “La grande storia è quella che ci definisce”, il regista precisa che “la storia di questi quattro ragazzi ci prende per mano e ci fa rivivere tutte le nostre esistenze”. “Gli anni più belli sono quelli in cui si sente di avere qualcosa da esplorare e che non sono collegabili a un’età precisa – continua Muccino – C’è sempre un cambio di direzione, una continua sfida verso il domani. Tutti pensano che domani sarà un giorno migliore e tutti i personaggi sono proiettati verso un traguardo. Arriverà un momento in cui accetteranno la loro vita e faranno una somma di tutti i cambiamenti attraversati durante il tempo”. Il regista de “L’ultimo bacio”, “Alla ricerca della felicità” e “A casa tutti bene” si concede un’emozione quando ammette che questo è il “film più pacificante, perché suggerisce che la vita va avanti e certi errori possono essere corretti”. E, a proposito dei protagonisti, dice: “Amo tutti i personaggi allo stesso modo, sono una parte di me, Micaela compresa. La parte più contemplativa la interpreta Kim, la mia vena più ambiziosa e corruttibile la ritroviamo in Favino, la paura del fallimento è Claudio. Ho una personalità talmente complessa che può essere suddivisa in personaggi molto diversi”. Il film è certamente un omaggio a “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola, ma anche un racconto pieno di tutto quello che il regista ha vissuto sognando di fare cinema: “È l’esplorazione più nobile di quello che il cinema mi ha dato e dentro c’è tutto: Zavattini, Risi, Scola e Fellini. Quelli che ho realizzato sono omaggi da parte di un regista che è cresciuto ed è diventato quel che è grazie a quei maestri e a quel cinema”.

È “decisamente un film sull’amicizia”, input delle esistenze dei protagonisti che sembrano “naufragare per gran parte del tempo”, ma che ritornano sempre alle origini. Per rendere ancora più credibile la narrazione, Muccino si è affidato a dei big con una sorpresa, la scelta di Emma Marrone, alla sua prima prova da attrice: “Ho accettato questa sfida. Mi sentivo piccola piccola in mezzo a questi titani del cinema italiano, che però mi hanno sorretta e aiutata. Mi sono approcciata ad Anna di pancia, ho giocato a fare la mamma usando l’immaginazione, pensando a come si sarebbe mossa con il pancione, anche la scena del parto è stata complicata”.

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