GIUSEPPE “PEPPONE” CALABRESE

Quanti eroi sulle strade d’Italia!

È il testimone dell’anima popolare di “Linea Verde”. Le storie dei territori e della loro gente, le tradizioni, la cultura del cibo rappresentano il filo rosso del suo racconto televisivo. «Le nuove generazioni vogliono tornare alla natura – dice al RadiocorriereTv – lo fanno con consapevolezza e sempre al passo coi tempi». Per tutta l’estate il sabato in “Tour” alle 12 su Rai1

Il cibo, il territorio e le tradizioni sono parte del suo DNA. Come nasce questa passione?

Da bambino, quando la curiosità la faceva da padrona, per me era un onore andare a conoscere gli allevatori, gli agricoltori. Mio nonno Giuseppe era un contadino, un allevatore, tradizione che si è poi persa a livello familiare. Sono da sempre affascinato da questo mondo che porta con sé il valore antropologico di un popolo. Poi ho studiato giurisprudenza e ho lavorato con il CNR per diversi anni, con il mondo della ricerca, delle biotecnologie alimentari e così ho preso ancora più consapevolezza dell’importanza del cibo nella cultura.

Dove la portano i ricordi più cari?

Sicuramente al grano (sorride). Ce n’erano grandi cumuli nel capannone di uno zio e io andavo lì e mi ci tuffavo in mezzo. Penso anche alle galline, un po’ a tutto quello che era anche il cibo della tradizione, che non aveva solo il valore dell’autenticità, della genuinità, ma anche dello stare insieme, del convivio, ciò che poi ha fatto grande il cibo italiano, che è la sintesi di più culture che si sono poi mescolate. Siamo un popolo nel cuore del Mediterraneo, abituato alle contaminazioni.

Nonostante l’emergenza sanitaria perduri stiamo vivendo un’estate di ripartenza, che fotografia scatta dal suo osservatorio?

Con “Linea Verde” non ci siamo mai fermati e abbiamo registrato una grande sofferenza da parte degli operatori, a partire dai più piccoli, sia nel turismo che nel mondo dell’agroalimentare. Ma quando li incontriamo, quando andiamo a parlare con loro, è forse il momento più bello e importante della loro vita. Ci raccontano la loro storia, i loro sacrifici, che sono sacrifici di un’intera famiglia. Vedo persone consapevoli di volere andare sempre più incontro alla felicità e consce che l’affettività è uno degli elementi importanti per raggiungere l’obiettivo. Assisto anche al ritorno ai borghi, in cui tanti ragazzi hanno trovato ricovero morale e psicologico, ai paesi d’origine dove molti giovani hanno deciso di vivere per costruire un futuro. Sono luoghi in cui conta il valore delle persone che si incontrano, il parlare fitto fitto, gli artigiani, lo stare insieme, il sentirsi parte di una comunità.

Quanto vissuto nell’ultimo anno e mezzo ci rende più consapevoli della necessità di ripensare il nostro rapporto con la natura e con l’ambiente?

Una questione annosa. Da un lato c’è stata maggiore vicinanza, con la percezione che la natura sia un luogo sicuro, ma da qui a essere certo che si stiano applicando le buone pratiche per non disturbare troppo l’ambiente, non so. Vedere gli animali selvatici nei centri urbani è stata per me una gioia immensa. Vengo da Potenza, città di montagna, il lupo è arrivato in città ed è stata un’emozione grande. Poi siamo tornati a vivere normalmente e loro hanno fatto ritorno nel loro habitat naturale. Il rapporto tra uomo e natura deve essere ulteriormente valorizzato.

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