GEPPI CUCCIARI

L’Italia intera nelle mie 40 voci

All’ora di cena, dal lunedì al venerdì, gli italiani si confrontano (e si divertono) nel social-talk di Rai3. Dalle venti regioni le opinioni su ciò “Che succ3de?” nel Paese e nel mondo intero. La conduttrice al RadiocorriereTv: «Sarebbe impossibile non assorbire la preoccupazione della gente, ma respiro fiducia e speranza. C’è una bella complicità»

Un risultato di pubblico e di critica importante quello di “Che succ3de?”, è soddisfatta?

Quasi stupita, ma molto felice. Un quotidiano è un grande privilegio, che vada così bene l’ha trasformato in un premio. Che condivido con tutto il mio gruppo di lavoro: facciamo tutto insieme.

Come è nata l’idea del programma?

Dalla constatazione che la tv non è più la stessa. Quando ad aprile si affacciò l’ipotesi di poterci inserire in quella nobile intercapedine tra “Blob” e “Un posto al sole”, io e Luca Bottura pensammo subito a come affrontare l’assenza del pubblico presente in studio, elemento fondante. Dalla quarantena ai quaranta del panel è stato un attimo.

Una fascia oraria non facile, cosa serve per conquistare gli spettatori alle 20.20?

 C’erano tutti i rischi che può incontrare un programma nuovo in una fascia del genere. Però mi ero rodata durante il lockdown, su Instagram, con i miei “Cugini disagiati”. Ogni giorno andavo in diretta per un’ora, senza rete, e lì ho scoperto un’Italia molto più interessante di quella che di solito racconta la tv. Persone vere, non ipotesi di realtà. Poi è venuto il resto: l’idea di trovare la persona comune dietro le grandi storie. So cosa proviamo a fare: stare sull’attualità e non sulla cronaca, dare leggerezza, ascoltare, giocare con il pubblico cercando di rispettarlo.

In un momento storico difficile e di grande caos “Che succ3de?” ci pone ogni sera di fronte alla realtà dando voce alla gente. È più forte la fiducia o la rassegnazione?

Sarebbe impossibile non assorbire la preoccupazione della gente, anche quella che ogni giorno sentiamo per strada. Ma respiro fiducia e speranza. C’è una bella complicità. Forse il senso è questo: nell’attesa di salvarci, insieme, facciamoci compagnia.

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