FRANCESCA FIALDINI

Appassionata delle vite degli altri

La curiosità e l’empatia, il desiderio di condivisione e la volontà di connettere persone di generazioni diverse. Con “Le Ragazze” (il martedì in prima serata su Rai 3) e “Da noi… a ruota libera” (la domenica pomeriggio su Rai 1), la conduttrice racconta la nostra vita e il Paese

“Le Ragazze”, Francesca Fialdini,2023

Un viaggio nell’universo femminile alla scoperta di storie, di vite, di emozioni. Cosa rappresenta per te “Le Ragazze” e come sta crescendo il tuo rapporto con la trasmissione?

“Le Ragazze” è un programma che parla dell’Italia e di come è cambiato il volto del Paese, grazie anche al piccolo-grande contributo che ciascuna delle nostre protagoniste ha dato a questo cambiamento. È una trasformazione che a volte è all’insegna dell’emancipazione femminile, perché ci sono delle donne che sono state protagoniste assolute, a volte apripista per altre nella battaglia per i diritti, ci sono donne invece che, semplicemente rimanendo nel proprio contesto familiare e locale, contribuendo a far sì che quel luogo dove sono nate e cresciute crescesse, si evolvesse grazie al loro lavoro, hanno lasciato un ricordo indelebile nelle generazioni della loro famiglia. Mettere insieme i racconti della ciambellaia di Sora, della pastora di Bagolino, a quelli di Elisabetta Canitano, una ginecologa che già negli anni Settanta si dedicava la legge 194, di Simona Marchini che conosciamo tutti per il grande talento comico, oppure  di Oriella Dorella, che è stata una étoile amata da tutti e che ha avvicinato gli italiani alla danza classica grazie al suo contributo televisivo – era una Bolle ante litteram – mettere insieme queste storie, questi racconti, significa tessere con ago e filo il volto femminile dell’Italia del nostro Paese. Per me, oltre a essere emozionante, è anche una grande lezione, un grande insegnamento. È come stare dentro un libro di storia.

“Le Ragazze” presenta donne tra loro anche molto diverse per storia, estrazione sociale, opinioni, c’è un tratto che le accomuna?

Forse sono delle linee immaginarie, i tratti che uniscono di volta in volta le storie li può trovare liberamente lo spettatore in base da ciò che viene colpito. C’è una puntata dove ci sono insieme la scrittrice Sveva Casati Modignani e una postina, una delle prime postine italiane, di Morcellina, in Veneto. Cosa le lega? Le parole scritte, il fatto che una le usi per scrivere romanzi di grande successo e che l’altra queste parole le consegni fisicamente dentro le case delle persone e le porti sotto forma di lettera, di cartolina. Potrebbero esserci anche altri elementi di contatto, a partire dal modo in cui hanno vissuto i sentimenti.

Come le ragazze di ieri parlano a quelle di oggi?

Si tratta di prendere atto che c’è una distanza abissale fra le donne del Novecento e le donne di adesso. C’è una distanza data ovviamente dal progresso sociale, da questi settant’anni di pace che ci dividono da quelle guerre mondiali che alcune di loro raccontano ancora con l’orrore negli occhi. Ma è dovuta anche al progresso tecnologico che ha separato le persone, ne ha unite tante a livello di connessioni digitali, ma tante altre ne ha separate. È cresciuto un forte individualismo, quindi le ragazze di oggi ascoltando le storie di allora, di queste nonne, di queste mamme, possono imparare che cosa significa stare dentro una società che conosce la collettività, il valore di fare le cose per gli altri e con gli altri. Cosa vuol dire fare delle battaglie sociali che possano cambiare non solo la propria vita ma anche quella di chi ci circonda, fare magari alle volte anche delle battaglie generazionali. E questo è importante perché l’individualismo ci sta allontanando anche dai sentimenti, purtroppo l’attualità ce lo racconta. Ascoltare la vita delle ragazze per me significa recuperare un po’ il senso della collettività, di una società che sapeva fare delle battaglie per il bene di tutti.

Che ragazza è Francesca Fialdini?

Appassionata delle vite degli altri, altrimenti avrei scelto un mestiere diverso. E sono una ragazza forse molto novecentesca, molto analogica. La distanza che in qualche maniera mi separa, da un punto di vista emotivo dalle nuove generazioni, mi fa guardare a loro con grande tenerezza, Tendo sempre ad assolvere le ragazze di adesso, perché in fondo siamo noi che abbiamo consegnato loro questo mondo frammentato e che conosce più divisioni che unità. In questo senso più che una ragazza mi sento una sorella maggiore, una mamma putativa, che con il suo lavoro può tentare quantomeno di destare un po’ d’attenzione.

Chi sono le ragazze della tua vita?

Mia nonna Giannina, che ha 97 anni e che è scampata più volte alle fucilazioni tedesche durante la Seconda guerra mondiale, e che ancora oggi quando mi vede mi dice: “Se sono ancora qui dopo tutto quello che ho patito, allora forse arrivo a cent’anni”. Lei è un po’ la memoria storica della nostra famiglia. E poi c’è la mia mamma, che è stata ed è ancora oggi una donna agli antipodi rispetto a mia nonna, perché è proprio una figlia del 1968. È stata prima segretaria della CGIL a Carrara, quindi una delle prime donne segretario di partito con i DS. Una donna impegnata nel sociale e in politica che ha cercato con grande fatica, e si fa fatica ancora oggi, a tenere insieme lavoro e famiglia. Devo ringraziare lei e tutte quelle donne che si sono spese per cambiare le nostre vite, anche se rimane ancora tanta strada da fare.

Prima il ritorno con “Da noi a ruota libera”, ora con “Le Ragazze”, come vivi questa fase della tua carriera?

Molto bene, perché sono molto felice dei programmi che faccio. Tutti portano qualcosa che per me è un tratto profondamente umano.

Sei un’esperta intervistatrice, come ti senti nel ruolo dell’intervistata?

A disagio, profondamente a disagio (sorride).

Ti chiedo per un istante di “sdoppiare” il tuo ruolo, c’è una domanda che faresti a Francesca Fialdini?

Sai mantenere le promesse?

Che risposta darebbe Francesca?

Mi impegno sempre molto per essere all’altezza della parola che do. E quando non ci riesco… mi dico: “Ritenta, riprova. Sarai più fortunata” (sorride). Mi autoassolvo. Ma sai perché? Quando ci sentiamo traditi nelle aspettative, in fondo l’errore più grande lo facciamo noi, che quelle aspettative le abbiamo nutrite come piantine. E invece bisogna imparare a vivere senza aspettarsi nulla in cambio.

La domenica pomeriggio ti vediamo spesso giocare con i tuoi ospiti, li vediamo divertirsi, cosa c’è che ti fa divertire, che ti fa stare bene?

Le vacanze, un tempo vissuto senza preoccupazioni, senza deadline, senza consegne immediate, dove ti puoi permettere una condivisione fatta anche di tanti silenzi. Il tempo è il lusso più grande che abbiamo, quando lo abbiamo, per scegliere a chi dedicarlo, come viverlo, come riempirlo, per dargli valore. Quindi per me le vacanze sono occasioni di scoperta di sé, degli altri, di condivisione, di fare esperienza insieme. Il tempo va usato bene.

La televisione sta cambiando insieme alla società, cosa ne pensi della Tv di oggi?

In questo momento la televisione, soprattutto quella generalista, non può che essere in forte difficoltà, vedendo la sfida epocale che sta attraversando con le nuove tecnologie. Ci stanno cambiando l’immaginario, l’arrivo dell’intelligenza artificiale renderà forse tutto così obsoleto, compreso il mio ruolo, che non può che essere un momento di passaggio. Credo che dobbiamo fare leva principalmente sulle risorse umane, finché hanno ancora un senso, affinché quello che di umano c’è nei nostri racconti possa essere preservato come valore. La televisione non è i social,  la televisione non è il web, quindi dovrebbe essere un pochino più fedele a se stessa per non farsi travolgere più velocemente di quanto già non stia accadendo dalla trasformazione tecnologica e valoriale che è in corso.

C’è un personaggio televisivo che ti ha fatto capire che il giornalismo e la televisione sarebbero stati la tua strada?

In realtà mi sono innamorata di questo mestiere quando ero piccolissima, perché nella mia testa di bambina di otto anni pensavo al lavoro di giornalista e di fotoreporter e che sarei stata proiettata in luoghi lontani e sarei andata a raccontarli a chi quei luoghi li aveva dimenticati. Da un punto di vista televisivo ho sempre apprezzato Lilli Gruber, che sta al giornalismo come Raffaella Carrà sta all’intrattenimento. Lilli ha portato la modernità, le minigonne, il chiodo, il caschetto rosso fuoco in prima serata, nel Tg della sera. Ed è stato un momento di rottura fortissimo, ha dato un’immagine di donna emancipata, indipendente, sicura di sé e autorevole. E così mi sono detta: quella è la strada, la direzione. Essere una donna, una conduttrice preparata, sicura di sé, è che deve studiare per essere autorevole, per guadagnarsi quello che la vita le insegna.

Il tuo augurio al Servizio Pubblico radiotelevisivo…

Di essere fedele al Servizio Pubblico radiotelevisivo.

 

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