Esistono gli italiani?
LIBRI
L’incerta identità italiana è al centro dell’indagine di Giorgio Zanchini. Attraverso interviste, documenti e testimonianze, l’autore mette a confronto i tasselli di un puzzle di non facile composizione. Un viaggio che muove dalla questione meridionale, dal dualismo Nord-Sud, dal ruolo, talvolta non esercitato appieno, dello Stato
Come nasce questo volume?
Dallo stimolo di Marco Frittella, direttore di Rai Libri, di provare ad affrontare una sfida complicata, quella di rispondere a una domanda che gli italiani si pongono dai tempi di Guicciardini. Abbiamo provato a fare una piccola indagine con gli strumenti di un giornalista radiotelevisivo attorno a una domanda antica.
Cosa unisce e cosa divide gli italiani?
A unirli sono il dato linguistico e quello geografico. Il fatto di parlare la stessa lingua e di abitare lo stesso territorio. A dividerli sono tante cose, a partire dal fatto che l’Italia è un paese molto diverso, gli arabi dicevano che era troppo lungo per essere conquistato. E poi c’è una storia di divisioni che l’ha reso molto diverso da un’area all’altra. Sono quasi più gli elementi che dividono gli italiani di quelli che li tengono assieme. Di qui anche la definizione di “identità debole”.
Un’identità tanto sfaccettata ha in sé aspetti positivi?
Il bello dell’Italia è il policentrismo, le divisioni la rendono un Paese con tanti centri di generazione di cultura. Anche la produzione linguistica è molto ricca, la varietà rappresenta una dote.
Una sfaccettatura che riguarda anche il genio italiano, l’arte, la bellezza…
… ma anche paesaggi diversissimi e variegati, dalle Alpi ai laghi alle pianure del Mezzogiorno.
Cosa potrebbe rendere più solida questa identità fragile?
Se devo rispondere con una parola dico il buon governo. La fragilità nasce dal fatto che l’Italia è un Paese storicamente debole, diviso, e non sempre ben amministrato per mille ragioni. Siccome tutto deriva dalla storia siamo anche migliorabili: governi stabili, un’economia che funzioni, inclusione, potrebbero certamente aiutarci.
La politica sente la necessità di cambiare?
Penso di sì, anche se la realtà, dipendendo da numerosi fattori, è sempre più sfaccettata e mette in difficoltà la politica: penso al quadro internazionale, all’economia. La gestione della cosa pubblica in Italia non è stata all’altezza delle sfide della modernità e della globalizzazione. Altri Paesi ci sono riusciti meglio di noi, ma non dobbiamo essere pessimisti, tutto può migliorare.
Non una sola ma tante Italie, tu Giorgio Zanchini a quale appartieni?
Il mio è un auspicio. Mi riconosco nei nostri presidenti della Repubblica, almeno negli ultimi, che sono sempre stati all’altezza del ruolo.
Che cosa significa raccontare gli italiani?
Provare a dare loro la parola dal basso, come insegna Giuseppe De Rita (sociologo), non solo con analisi teoriche ma con delle inchieste, con viva voce della gente.
La Tv e la radio hanno contribuito a unire il Paese, che cosa succede oggi con i social?
I social acuiscono alcune tendenze alla frammentazione e all’indebolimento di un racconto comune. La televisione svolgeva la funzione di orologio sociale, che oggi svolge in modo diverso. La televisione ha ancora alcune ritualità che vengono molto seguite: le conversazioni pubbliche di chi non è più giovanissimo sono ancora molto legate ai mezzi di comunicazione di massa. I social creano mille nicchie e faglie generazionali abbastanza impressionanti. Non sono però convinto che non esistano più racconti comuni, tutt’oggi definiti dai mezzi di comunicazione di massa dai quali i social si abbeverano spesso. È come se il sistema si fosse complicato ma gli attori del Novecento ancora resistono, ancora costruiscono un racconto comune.
Con gli ascoltatori e i telespettatori hai diverse occasioni di confronto, che cosa hai capito di noi italiani?
Che dipende moltissimo dal luogo in cui ci si ascolta e ci si parla, ma questo è così nella vita. A “Radio anch’io” il pubblico è diverso da quello di Radio 3, da quello di “Quante storie”, da quello di “Rebus”. Mi diverte molto confrontarmi, misurarmi e ascoltare le voci anche di chi non la pensa come me. Ad esempio, a “Radio anch’io” il dibattito è particolarmente vivo e caldo e lì mi misuro con tanti italiani che la pensano in modo diverso dal mio, ed è sempre interessantissimo.