Enrico Brignano
Il mio mondo (di risate) in 60 minuti
L’attore romano torna in televisione con “Un’ora sola vi vorrei”, un “gioco a tempo” in cui monologhi graffianti ed esilaranti sull’attualità si alternano a divertenti incontri con ospiti d’eccezione. “Voglio portare un po’ di leggerezza, di speranza, di serenità – dice il comico – ma anche di riflessione, forse un po’ amara a volte”. Dal 22 settembre, per cinque martedì, in prima serata su Rai2
Sessanta minuti, proprio come accadeva nei grandi show del passato, per divertire ed emozionare, come è nata l’idea di “Un’ora sola vi vorrei”?
Ho sempre fatto spettacoli estremamente lunghi. Sono stato sfidato dal mio manager a raccontare tutto in un’ora e ho detto: “Ce la posso fare”. Certo, ora devo anche riuscirci!
Il ritorno in televisione in un momento importante, quello della ripartenza, cosa può dare l’uomo di spettacolo al suo pubblico, proprio ora?
Tante cose: un po’ di leggerezza, di speranza, di serenità. Ma anche di riflessione, forse un po’ amara a volte. Può far aprire gli occhi sulla realtà che stiamo vivendo, in modo ironico, certo, ma disincantato ed estremamente concreto: a volte la preoccupazione e la paura ci distraggono e ci impediscono di vedere con lucidità e chiarezza le cose.
Un viaggio tra passato e presente, ma anche uno sguardo rivolto al futuro, come fa un attore, un comico, a rimanere attuale?
Lavorando, non fermandosi mai. Il passato, gli spettacoli che hanno funzionato restano un rifugio, un punto di partenza. Ma non ci si può adagiare lì, bisogna continuare a essere curiosi e, soprattutto, aver voglia di raccontare la vita. Di spunti, l’attualità ne offre davvero tanti.
Che rapporto ha con il passare del tempo?
Siamo arrivati a una tregua: io non mi affanno cercando di fermarlo, anche perché sarebbe una corsa inutile, e lui mi ha promesso che proverà a essere clemente, ma non so se posso fidarmi. Scherzi a parte, la vita è questa e il tempo ne è parte. Passare è una sua prerogativa, prima lo si accetta, meglio si vive.
Si riveda per un istante agli esordi, che cosa è rimasto di quell’Enrico e che cosa invece non c’è più?
È rimasto un certo stupore: quando salgo sul palco, consapevole che oltre il sipario mi aspettano molte persone, che sono venute lì per me, oggi come allora – anche se per fortuna il numero degli spettatori è cresciuto – mi meraviglio sempre e mi dico che non devo deluderli. Quello che non c’è più è l’Enrico che durante lo spettacolo si faceva prendere dalla foga di dire, di parlare, di essere esuberante, quello che cercava la risata a tutti i costi, anche spingendosi a strafare. Oggi sono più sicuro e mi godo ogni momento dello spettacolo, fiducioso nel fatto che la risata riuscirò a farla arrivare senza ricorrere a esagerazioni interpretative.
Lei è molto apprezzato anche dal pubblico giovane, cosa fa per conquistare i millennials?
Quando penso a uno spettacolo o a un pezzo da scrivere non mi pongo il problema del target, racconto e ironizzo su quello che vedo. Forse è questo il segreto,ciò che osservo nella quotidianità è sotto gli occhi di tutti, anche dei ragazzi, che dunque si riconoscono in quello che dico e, di conseguenza, ne ridono con me.