EMILIA BRANDI
Al servizio delle storie che raccontiamo
La nuova serie di “Cose Nostre” il lunedì in seconda serata su Rai 1, il podcast su RaiPlay Sound. La giornalista al RadiocorriereTv: «A muoverci è la curiosità, la stessa di un lettore o di una lettrice qualunque». E ancora: «Quando ho avuto la possibilità di avere uno spazio mio ho scelto questo tema perché mi sembrava di potere restituire qualcosa»
“Cose Nostre” è tornato per raccontare altre storie di persone che scelgono di dire no alle mafie, ai soprusi… a che punto siete del vostro lungo, lunghissimo viaggio?
Sono dodici puntate con le quali tocchiamo i nostri temi classici, storie di persone che hanno sacrificato la propria vita per contrastare la mafia, allargando però la narrazione ad altre storie di criminalità. Nella prima puntata (disponibile su RaiPlay) ci siamo chiesti chi fosse davvero Tony Chichiarelli, un personaggio che ha avuto a che fare con le trame più torbide della storia della Repubblica. Nella seconda, che abbiamo intitolato “L’amore bugiardo”, raccontiamo la vicenda del calciatore del Cosenza Calcio Denis Bergamini, morto nel 1989 in circostanze non chiare. La terza puntata è invece dedicata al rapimento della diciottenne Cristina Mazzotti, avvenuto nel 1975. All’orrore del sequestro si aggiunse la ferocia della crudeltà: la giovane veniva tenuta reclusa in una buca, respirava attraverso un tubo che sbucava dal terreno. La sedavano per non avere grane, poi, quando doveva rispondere alle domande dei familiari che chiedevano prove del fatto che fosse viva, le davano degli eccitanti, adrenalina.
Qual è l’elemento che vi porta a scegliere una storia piuttosto che un’altra…
La curiosità, la stessa di un lettore o di una lettrice qualunque. Leggo libri, metto da parte ritagli, riviste, interviste. Poi studio, cerco di saperne di più, vado a verificare quale repertorio ci sia. Da lì nasce la scelta.
Di fronte alle realtà che fotografate è possibile pensare al futuro con ottimismo?
Se guardo al passato lo vedo eroico. Ci sono alcuni uomini, con o senza divisa, che hanno fatto il proprio dovere, come dovremmo fare tutti. Persone che non hanno fatto compromessi e sono state rette fino in fondo e questo mi conforta. Sono stati il volto credibile dello Stato, sempre dalla parte giusta. Per l’oggi non so dirti, per certo è cambiata la mafia. Si dice che quando non ci sono più morti significa che non c’è bisogno di farne. E questo è inquietante, ovviamente non perché debba morire la gente. L’argomento sta prendendo altre forme, sta mutando. Non ci sono più i vecchi ‘ndranghetisti, i figli sono laureati, hanno studi legali, società all’estero. Oggi è più difficile capire, non credo che il fenomeno si sia estinto, credo solo che abbia mutato forma.
Da giornalista cosa ti sta dando questo viaggio?
Quando ho avuto la possibilità di avere uno spazio mio ho scelto questo tema perché mi sembrava di potere restituire qualcosa. Quello della criminalità organizzata è un elemento narrativo per raccontare un territorio, una persona, la scelta quotidiana che tutti facciamo tra il bene e il male. Non una conquista ma una scelta, anche nel modo di vedere le cose, come avere ad esempio un gesto di gentilezza o garbo verso l’altro. Da giornalista sono sempre al servizio delle storie che raccontiamo, certa che quando chi racconta si mette al centro della narrazione c’è qualcosa che non va. Questo viaggio mi ha fatto anche incontrare tante persone motivate. Accanto a me ci sono tanti giovani entrati da poco in Rai, montatori, fonici, grafici, vedo in loro molto entusiasmo per il programma, per la sua artigianalità, per il modo in cui raccontiamo, per il fatto di andare a inseguire, costruire e raccontare le storie.
Le storie di “Cose nostre” sono oggi anche un podcast di RaiPlay Sound, recentemente presentato al Salone del libro di Torino…
Sono contentissima di questa cosa che ho inseguito per anni. Ho incontrato un gruppo di lavoro fantastico, guidato da Andrea Borgnino, e sono nate quattro puntate che raccontano storie di donne molto diverse tra loro. Si parte con Maria Concetta Cacciola, figlia della ‘ndrangheta di Rosarno che a 31 anni si ribella diventando testimone di giustizia. Raccontiamo Marisa Merico, figlia dell’ex boss Emilio Di Giovine, che nel nome del padre diventa un corriere del crimine per il riciclaggio di denaro sporco e che dopo l’arresto decide di dare una svolta alla propria esistenza; Luisa Fantasia, giovane vittima innocente di mafia; Maria Badalamenti, nipote di una delle figure apicali di Cosa Nostra, Tano Badalamenti, impegnata a difendere la memoria del padre Silvio, uomo perbene, malgrado il cognome e vittima incolpevole della sete di vendetta mafiosa. “Cose nostre” è un programma fondato sulla parola, la versione podcast aiuta a mettere a nudo l’anima. Abbiamo fatto un esperimento, per il futuro potrebbero arrivare anche contenuti originali. Spero di avere il tempo per farlo (sorride).
A chi dedica questa nuova stagione di “Cose Nostre”?
A Raffaele Maiolino, il nostro regista scomparso il 10 marzo scorso, la persona con cui per sette anni ho costruito le puntate, il mio primo riscontro. Per tutti noi è un momento drammatico, questa serie la stiamo portando avanti tra mille sacrifici, nel suo ricordo, e devo dire che in questo l’azienda ci sostiene. Nel nostro racconto c’è tanto di lui.