Duilio Giammaria
Siamo lo slow food della Tv
Con “Mompracem l’isola dei documentari”, la domenica pomeriggio alle 14, e con “Crime Doc”, in prima serata da venerdì 21 ottobre, entrambi su Rai2, Rai Documentari è sempre più presente nei palinsesti del Servizio Pubblico. Il RadiocorriereTv ha intervistato il direttore della struttura nata lo scorso anno: «In Italia c’è una formidabile energia, ci sono documentaristi in gamba e il mercato apprezza il nostro prodotto»
Due nuovi spazi dedicati al documentario, la domenica pomeriggio e il venerdì sera su Rai2. Dove ci porta Rai Documentari?
“Mompracem l’isola dei documentari” occupa una porzione di palinsesto che deriva dallo spostamento di “Quelli che il calcio”, una durata non precisa ma ampia, abbiamo un documentario centrale, brevi spiegazioni al documentario, rubriche e altri contributi filmati. Ogni puntata è dedicata ai grandi scenari naturalistici: la montagna, gli oceani, l’aria, i vulcani. Ci occupiamo da vicino anche d’ambiente, degli sconvolgimenti che sta subendo il Pianeta, così come dell’ingegno umano e delle motivazioni che portano l’uomo alla scoperta dell’ignoto. Quello di “Crime Doc”, che prenderà il via il 21 ottobre in prima serata, è invece uno slot dedicato al crime. Cinque prime serate per raccontare il Paese, i cambiamenti, alla luce di alcuni casi di cronaca, dal mostro di Firenze al delitto di Marta Russo. L’obiettivo è creare appuntamenti fissi, stabili, dentro le reti, dopo un anno di lavoro ci stiamo riuscendo.
Rai Documentari compie un anno, cosa avete imparato del pubblico e del mercato in questo anno di lavoro?
Che il pubblico c’è e che è entusiasta di trovare un genere che a torto si considerava residuale. Le prime serate trasmesse da Rai1, “Lady D” e “11 settembre”, ci hanno insegnato che i telespettatori sono capaci di impegnarsi anche con prodotti prolungati e complicati e che sanno distinguere bene tra prodotti che sono dei film documentari e altri che non lo sono. Siamo certi che, se avremo lo spazio adeguato, potremo creare sempre di più sintonia con i gusti del pubblico.
Che caratteristiche deve avere un documentario per arrivare a tutte le fasce di pubblico?
Deve essere assertivo, chiaro, deve creare un patto con il telespettatore e rispettarlo. Recentemente ho presentato a Bari il documentario di novanta minuti “Sotto il vulcano”, un viaggio alla scoperta dei vulcani italiani, e il silenzio nella sala era totale. Sin dall’inizio quel documentario enuncia ciò che sta per fare, ossia che sta per svelare il complesso rapporto tra uomo e vulcano, dal rischio alle opportunità. Lo fa con ritmo, in modo chiaro, tanto che il pubblico non lo lascia e segue la narrazione con grande attenzione. In un’epoca di fake news, in un’epoca in cui persino le apparizioni degli scienziati, dei virologi, vengono in qualche modo messe in discussione, credo che il linguaggio del documentario sia un perfetto strumento per trasformare anche cose molto complesse, questioni scientifiche, sociali, in racconti avvincenti e super documentati. Nessuno potrà mai dire “avete fatto un’affermazione sbagliata”. Il documentario è lo slow food rispetto all’hamburger preso per strada e mangiato in fretta e furia. Noi siamo lo slow food della Tv.