DOC, una grande famiglia

Sara Lazzaro

È Agnese nella serie con Luca Argentero e Daniela in “Volevo fare la rockstar” (prossimamente su Rai 2), personaggi popolari e amati dal pubblico della Rai. L’attrice italoamericana si racconta al RadiocorriereTv: «Sono determinata, idealista, ironica. A tratti anche un po’ malinconia, nostalgica». E confida, «dopo 14 ore di set ritrovo me stessa stando in silenzio sul divano»

© Erika Kuenka

Come ha vissuto questo nuovo capitolo della storia, il nuovo tempo della sua Agnese Tiberi?

La sensazione è quella di avere ereditato un’aspettativa dalla prima stagione, una grande attesa.  Abbiamo avuto l’occasione di andare un po’ più a fondo con i nostri personaggi, ed essendoci assunti la responsabilità di raccontare il contemporaneo, anche di attraversare il covid. Agnese si è trasformata, è il risultato di diverse cose che le sono capitate. Lei è una donna molto più vulnerabile, fragile, che sta facendo i conti con un’emotività con cui non si era mai confrontata. Questo è accaduto anche da un punto di vista lavorativo, perché il fatto di tornare in corsia l’ha posta in una posizione di vulnerabilità diversa.

Il rapporto diretto con i pazienti è per Agnese una sfida quotidiana…

Ogni storia che incontra è un’occasione per riflettere su se stessa. Molti pazienti la mettono in difficoltà, la portano a confrontarsi anche con il suo percorso. Lei ha affermato di non riuscire a empatizzare con la sofferenza di qualcun altro, cosa difficile anche da ammettere.

Cosa le ha insegnato in questi anni il suo personaggio?

Pur essendo una donna molto diversa da me, la difendo a spada tratta. Agnese mi ha trasmesso forti principi di resilienza, di determinazione, di senso del dovere. Le sue posizioni sono spesso contraddittorie, ma proprio grazie a lei ho accolto la contraddittorietà, che in verità c’è in tutti noi, è un aspetto che caratterizza l’essere umano, perché siamo tutti in costante trasformazione, in evoluzione.

Cosa significa costruirsi addosso un personaggio, da dove si parte?

Nel caso di Agnese è stato fondamentale il training all’ospedale Gemelli di Roma nel reparto di Medicina interna, così come trascorrere delle settimane in corsia e “annusare l’aria” dell’ospedale, capire le dinamiche. Personalmente, dovendo interpretare una direttrice sanitaria, ho cercato anche di interagire con le persone degli uffici, a partire dalle donne. Dopo il training c’è stata l’analisi delle sceneggiature, che mi ha fatto capire che parole avrebbe detto, che conflitti avrebbe avuto, i diversi movimenti dei personaggi.

Di Agnese Tiberi non ne ha portato in scena una sola…

Dovevo partire dalla mia Agnese della prima stagione per poi lavorare sulla sua trasformazione: è stato un lavoro molto interessante, fatto di dettagli, di sfumature, cercato insieme ai registi sul set. In ogni momento c’è la coesistenza di due elementi, insieme alla durezza c’è sempre l’eco di una fragilità passata. Il suo è un darsi che non ha mai un unico colore. Per esempio, in una scena di litigio, di difficoltà, ho cercato di non tirar fuori solo la rabbia o il dolore, ma anche l’opposto, talvolta solo attraverso uno sguardo.

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