Diodato
Sono affamato di vita
Il RadiocorriereTv intervista il cantautore vincitore del 70esimo Festival di Sanremo con il brano “Fai rumore”, contenuto nell’album “Che vita meravigliosa” (Carosello Records) uscito il 14 febbraio: “Sono riuscito a raccontare la mia intimità, a condurre nel profondo della mia anima chiunque mi ascoltasse”
La sua esibizione ha fatto un bel rumore sul palco dell’Ariston, soddisfatto?
Non mi aspettavo tutto questo rumore, eppure non potrei essere più felice. Devo ammettere che mi sono sentito accolto con un grande calore fin dal primo giorno, ancora prima di salire sul palco dell’Ariston. Ricevere, poi, tutti questi premi e questo apprezzamento mi riempie il cuore di gioia. Ho partecipato al Festival senza grandi aspettative, ciò che mi interessava era portare il mio vissuto, comunicare la mia interiorità nella maniera più autentica e sincera possibile. E forse è stato proprio questo ad avermi premiato: credo che quando ci si mette totalmente a nudo ci si connette umanamente con l’altro.
Cosa succede nella vita di un cantautore che vince Sanremo?
Il palco di Sanremo è un grandissimo amplificatore, partecipare, e ancor di più vincerlo, sicuramente influisce sulla quotidianità. Ed è giusto godersi tutti i cambiamenti in atto, le gioie, il successo, ma è importante, allo stesso tempo, rimanere se stessi.
Lei non è nuovo al Festival. Cosa le ha consentito, questa volta, di conquistare pubblico e critica?
Esattamente è stata la mia terza volta sul palco dell’Ariston. Come ho già detto nell’arco della mia carriera ho sempre ottenuto ciò che meritavo. In passato mi esponevo fino a un certo punto e ancora non ero riuscito ad abbattere quel “muro dell’incomunicabilità” e a colmare quei vuoti che mi divoravano lo stomaco. Se oggi, anche grazie a Sanremo, la gente si è avvicinata a me, è perché io stesso glielo ho permesso. Sono riuscito a raccontare la mia intimità, a condurre nel profondo della mia anima chiunque mi ascoltasse. Se riesci ad essere sincero con te stesso probabilmente quella emotività arriva anche a chi ti ascolta.
Da Aosta a Taranto passando per la Svezia. Quanto la sua vita ha contaminato e contamina la sua musica?
Credo che ogni minima esperienza, ogni persona che incontriamo, ogni luogo in cui andiamo, ogni viaggio lasci una traccia dentro di noi, talvolta anche in maniera inconscia per poi ripresentarsi inaspettatamente. E tutti questi vissuti si mescolano tra di loro e forgiano la tua identità. Taranto, che è quella che sento più casa mia, mi ha sicuramente dato una grande spinta a fare rumore e allo stesso tempo a stimolare gli altri a farlo. Il brano che ho portato a Sanremo è anche una dedica a Taranto e alla situazione insostenibile che sta vivendo, per aiutarla a farsi sentire, a fare rumore.
Il suo brano è un invito a fermarsi a riflettere, a essere se stessi. Come e quando ha raggiunto questo obiettivo?
Non credo ci sia un momento particolare in cui ho capito di averlo raggiunto, piuttosto credo che questa consapevolezza si sia affermata progressivamente nel corso della mia carriera artistica, anche dopo numerose delusioni e sofferenze. Sono soprattutto queste che ci permettono di fermarci a riflettere sugli errori, su quello che è stato per affrontare al meglio quello che sarà. Oggi, e ancora di più grazie a Sanremo, credo di avere acquistato quella maturità necessaria a capire che anche dai dolori possono nascere grandi cose. Il mio album “Che Vita Meravigliosa” si chiama così non perché la vita è tutta rose e fiori, ma è meravigliosa proprio per i suoi saliscendi, per i suoi continui cambi di direzione e le belle opportunità che nascono proprio dagli stessi errori.