Dario Aita

Il potere salvifico del NOI

E’ Claudio Peirò nella serie “Noi”, adattamento dell’americana “This is us”. L’attore siciliano racconta al Radiocorrieretv la sua esperienza in un progetto così ambizioso: «Questa storia ha centrato la specificità della nostra società»

“This is us” in America un cult, in Italia un progetto molto ambizioso…

È stata una sfida fin dall’inizio. Quando ho saputo che avrei preso parte a questa serie, ne ho avvertito immediatamente la pressione, perché è una storia celebre, apprezzata e amata da fan distribuiti in tutto il mondo, e ovviamente anche in Italia. Mi sono rasserenato dopo aver letto il riadattamento di Sandro Petraglia, che è riuscito a trasportare questa storia universale di rapporti umani, familiari, nel nostro contesto. Il mercato delle serie è ormai un remake continuo e, a volte, capita che alcuni superino l’originale. La versione italiana della norvegese “Skam” ha avuto un successo pazzesco, quasi superiore a quello originale. Mi sembra che nel caso di “Noi” il pubblico abbia risposto molto bene.

Qual è la specificità italiana di questo racconto?

“This is us” racconta un sistema socioculturale consolidato da tempo, con tematiche già abbastanza scandagliate nella drammaturgia americana. In Italia, invece, una serie come “Noi” mi sembra innovativa, i temi affrontati, contemporanei in America 15, 20 anni fa, da noi lo sono diventati adesso. Parlare di una famiglia mista, di un bambino nero adottato negli anni Novanta, è un argomento “nuovo” dal punto di vista del racconto, ben legato alla nostra società. Negli Stati Uniti le generazioni afroamericane sono molto più presenti da anni, il processo di integrazione è a un livello più avanzato rispetto al nostro Paese che lo sta affrontando ora. Credo che questa storia abbia centrato la specificità della nostra società.

Un esempio?

Uno dei punti più rischiosi dell’adattamento, secondo me, è stato aver scelto per Daniele (interpretato da Livio Kone) una famiglia mista, mentre nell’originale è afroamericana. In Italia è un’eccezione trovare una famiglia nera perfettamente integrata, con posizioni sociali alto borghesi, mentre è molto più facile trovare una famiglia mista. Di specifico, poi, ci siamo “noi”, regista, attori, gruppo, siamo italiani, la nostra memoria lo è. Tutti gli anni raccontati nei flashback hanno un’estetica italiana nella quale il pubblico può riconoscersi. È come vedere una vecchia foto di famiglia.

In questo andirivieni temporale, com’è stato “guardarsi” nel passato e nel futuro?

Nella serie ci sono alcuni attori che interpretano se stessi in un ampio arco temporale, penso per esempio a Rebecca interpretata da Aurora Ruffino, che segue il suo personaggio fino ai 70 anni. Nel mio caso, il percorso di vita è affidato a tre interpreti differenti, una scelta davvero ben fatta da parte del casting director che ha scovato somiglianze eccezionali tra gli attori. Ho conosciuto il mio piccolo me e mi sono emozionato (ride). 

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