CRISTIANA CAPOTONDI
Il cammino delle donne
Il RadiocorriereTv intervista Cristiana Capotondi, protagonista di “Bella da Morire”, la domenica su Rai1 in prima serata
Donna e poliziotto, Cristiana ci racconta la sua esperienza “in divisa”?
Non ho avuto molte occasioni per indossare la divisa sul set, ma Eva è sicuramente una donna con la pistola e con il tesserino da poliziotta a portata di mano. Qualcuno l’ha definita “non troppo professionale” ma, se è vero che prende tutto molto sul personale e non mette in campo quel distacco utile alle indagini, ha un pathos molto forte perché si occupa di femminicidio. Si intuisce che queste storie la toccano da dentro. In alcuni casi, muovendosi in maniera molto goffa, diretta e ideologica commette degli errori. La serie non è solo il racconto di un’indagine per scoprire chi ha ucciso Gioia, ma anche la storia di una ispettrice di polizia e della sua emancipazione dalle proprie fragilità, dalle rigidità ideologiche. Nella sua ricerca della verità Eva indaga anche all’interno di se stessa per scardinare dei punti che la fanno soffrire.
Cosa c’è dietro il titolo “Bella da morire”?
È chiaramente una provocazione che prende spunto dalla storia di una ragazza che vuole diventare attrice, soubrette e durante il proprio percorso artistico viene uccisa. Anche se si scoprirà poi che le dinamiche che hanno condotto alla morte la donna non hanno niente a che fare con la sua aspirazione artistica, “Bella da morire” vuole richiamare l’attenzione sul concetto di corpo e di come la società ha considerato quello femminile fino ad oggi. In questo, per esempio, ci vengono in aiuto le calciatrici che raccontano l’utilizzo del proprio corpo senza il “ricorso” alla seduzione, ma per il gioco e il piacere del gioco.
Come ha costruito il suo personaggio? Cosa troviamo di lei in Eva?
Condivido con Eva quella severità interiore di punto di pretesa nei confronti di se stessi, la determinazione, la capacità di cambiare quando capisco di aver sbagliato. Mi allontana da lei il suo essere troppo maschile, “ossessivo” nelle azioni, e soprattutto quell’aggressività nel rapporto con i compagni di lavoro. In un mondo prevalentemente maschile anche Eva si comporta da maschio, una dimensione che le donne dovrebbero imparare a cambiare. Il valore di una donna in un posto di lavoro oggi è proprio la sua femminilità.