Con la luce negli occhi

GIULIA VECCHIO

L’attrice veste i panni del Sostituto Procuratore Gemma D’Angelo, magistrato indipendente e coraggioso. “Il metodo Fenoglio”, diretto da Alessandro Casale: Il lunedì in prima serata su Rai 1

2022, Il Maresciallo Fenoglio

Cosa ha significato confrontarsi con la scrittura di Gianrico Carofiglio?

Per un attore partire da un romanzo è un’occasione in più, che ti consente di scavare nella mente di chi ha scritto un personaggio. Penso alla mia Gemma D’Angelo, alla sua gavetta, sulla carta ho scoperto molto di lei. A colpirmi e a sorprendermi è stata anche una parte della storia della mia regione, che non conoscevo. Per me, cresciuta a Brindisi, la mafia in Puglia era quella dello spaccio delle videocassette. Non pensavo che ci fosse un’organizzazione tanto allargata e complessa.

Come ha vissuto l’incontro con Gemma D’Angelo?

All’inizio ero molto spaventata. La sceneggiatura tracciava totalmente la sua veste lavorativa, mi ha fatto conoscere il linguaggio legislativo, quello del magistrato. Ho cercato di capire cosa significasse essere una donna magistrato negli anni Novanta e così ho studiato la figura di Ilda Boccassini, molto attiva in quel periodo contro la mafia. Nel corso delle riprese ho incontrato il procuratore della Repubblica di Taranto, Eugenia Pontassuglia, che mi ha aiutato a recuperare un’urgenza, tasselli mancanti.

Per una donna di legge quali erano le difficoltà in quegli anni?

Purtroppo, le stesse che ci sono ancora. A partire dal dover dimostrare di essere intelligenti, preparate, cercando di affermarsi con tutte le forze. Non senza difficoltà.

Nella serie, invece, cosa accade?

L’aspetto interessante del rapporto tra Gemma e Fenoglio è vedere come questo sia basato sulla stima reciproca, lui l’apprezza da subito. Lei e Fenoglio sono uguali, hanno la stessa luce negli occhi.

Quali strumenti le ha dato, l’essere pugliese, nell’entrare in questa storia?

Sono nata in quegli anni e culturalmente tanti rifermenti li conoscevo. Oggi la situazione è migliorata, ma la mafia si esprime nei comportamenti, negli atteggiamenti, che ancor’oggi sono riconoscibili.

Come ha caratterizzato il personaggio di Giulia?

Ho cercato di lavorare molto sull’accento. Un barese della Bari vecchia, soprattutto negli anni Novanta, parlava diversamente da una persona istruita come Gemma, che aveva studiato a Napoli ed era stata a lavorare in Calabria nell’Antimafia. Il suo accento racconta la sua storia.

Cosa le ha lasciato questo set?

Un senso di famiglia. Ci siamo tutti riconosciuti nel voler dare qualità, consapevoli di lavorare a un prodotto importante. Il regista ha preteso due settimane di lettura del copione a tavolino, insieme agli sceneggiatori, cosa che di solito accade in teatro, nel cinema. Anche sul set c’era cura della parola, dei personaggi.

Un incontro virtuoso…

Lo stare bene insieme ti stimola a stare meglio, a trovare poesia. E così è stato.

La sua Puglia è sempre più protagonista sul grande e sul piccolo schermo, cosa prova di fronte a questa popolarità?

Sono orgogliosissima. È stato bellissimo stare sul set di una terra speciale, un onore. Ho scoperto Bari come una piccola metropoli dove le cose funzionano. Volevamo che quella magia non finisse.

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