Con gli occhi di Kostas

 

 

Ruvido, abbastanza burbero, molto poco diplomatico, ma animato da un profondo senso della giustizia. È il commissario Kostas Charitos in arrivo su Rai 1 dal 12 settembre in prima serata. Il RadiocorriereTv incontra il protagonista che del suo personaggio dice: «Certe volte è giusto far arrivare la durezza di una frase, Kostas ci riesce, e un pochino gliela invidio. Spero che facendo un altro paio di stagioni imparerò a farlo anche io»

 

Dalla Grecia arriva il commissario Kostas Charitos e chi meglio di lei lo può presentare?

Ruvido, abbastanza burbero, molto poco diplomatico, ma animato da un profondo senso della giustizia. Quando capisce che una qualsiasi ingiustizia è in atto, a qualsiasi livello, reagisce immediatamente, non importa se l’interessato è il delinquentello di strada o il ministro degli interni. È chiaro che questo comportamento potrebbe causare qualche problema al Dipartimento e al suo capo, che inutilmente ripete: “Sei tutto d’un pezzo e vai a schiantarti sui muri come se niente fosse, ma non puoi fare così”. Ma è un eccellente poliziotto, dotato di un intuito formidabile e di una straordinaria capacità di capire gli intrecci delle vicende più complesse…

… e la famiglia?

Ha una moglie e una figlia che adora, un po’ meno i suoi fidanzati. La famiglia rappresenta la parte più “morbida” della serie, quella in cui Kostas riesce ad addolcirsi, nonostante il rapporto di incontro-scontro con Adriana (la moglie intrepretata da Francesca Inaudi), sempre molto costruttivo, seduto su una forte base di amore rispetto e stima.

Cosa rivela della sua personalità questo suo profondo senso di giustizia?

Il fatto che sia così estremamente reattivo verso qualsiasi tipo di sopruso può essere di ispirazione per la gente. Riflettiamo su quante situazioni – piccole o grandi – ci fanno imbestialire, e quante volte dobbiamo cedere alle prepotenze altrui, l’idea che possa esistere, anche se solo per fiction, un beniamino che combatte le ingiustizie può dare sollievo. Secondo me dà un esempio. Vedendo in azione uno come Kostas potrebbe anche venirci la voglia di dire: “Ora faccio come lui e gliene dico quattro”.

Una lunga trasferta in Grecia per girare ad Atene, una città sospesa tra Oriente e Occidente, tra l’antico e il moderno…

Ho una formazione classica, studio del greco antico, della storia di Creta e della Grecia, della filosofia del III secolo a.C., dei presocratici, fino a tutto il mondo dell’ellenismo, sono andato più volte in vacanza a Mykonos, a Santorini e in altri meravigliosi luoghi di questa terra. Questa serie mi ha permesso, però, di conoscere meglio il Paese, di entrare in contatto con la gente, non nel loro rapporto con i turisti, ma nella quotidianità. Mezza troupe, per esempio, era greca, professionisti di altissimo livello, personaggi incredibili con i quali ho vissuto per tre mesi e mezzo. Solo per citarne uno, il collega che faceva il fuoco della macchina da presa aveva precedentemente lavorato per il film di “Indiana Jones”. Ho mangiato con loro nei loro posti, secondo le loro usanze e rispettando il loro ritmo, ho dormito nei loro luoghi in città, che niente hanno a che vedere con la parte turistica che tutti conosciamo. Ho vissuto la Grecia da greco, da dentro, andando in giro tutto il giorno con una tazza di buonissimo caffè Klassikos, come quello turco fatto nella sabbia.

Che cosa si aspettano i greci da questo racconto?

Immagino l’aderenza al bello che c’è nei romanzi di Markaris. Quando un grande scrittore scrive delle belle storie bisogna rappresentarle più fedelmente possibile. Noi, con il suo beneplacito, ci siamo presi qualche libertà, non parliamo, per esempio, della questione linguistica greco-turca, immagino non particolarmente interessante per il pubblico italiano, al pari di quando, esportando “Aggiungi un posto a tavola” in Inghilterra, si sapeva benissimo che a nessuno sarebbe interessato il fatto che il prete si innamorasse, visto che sono protestanti e possono sposarsi senza problemi. In “Kostas” abbiamo attualizzato un pochino la vicenda, ci siamo spostati dalla metà degli anni ‘90 al 2009, 2010, anno della crisi economica che ha colpito la Grecia, rendendo un servizio a Markaris e accendendo un riflettore su aspetti poco conosciuti di questa terra. Credo che tutti ormai conosciamo bene le campagne americane grazie ai film dei fratelli Coen (i registi Joel ed Ethan), senza dimenticare “Breaking Bad” o “Albuquerque” … Sono tutte finestre su mondi che ci appartengono fino a un certo punto, questa può essere una finestra sulla vita vera della Grecia, che non è soltanto vacanze al mare, archeologia o storia.

La storia familiare di questo personaggio ci riporta a un passato – non troppo lontano – di violenze, regimi…

Il servizio pubblico, attraverso tutti i suoi generi e linguaggi di narrazione (fiction, documentario, cronaca, programmi giornalistici di indagine e di investigazione…) deve permettere a tutti di stare con i piedi dentro al mondo, noi abbiamo utilizzato quello della finzione per puntare il faro dentro problematiche attuali. Il rapporto che l’ispettore ha con la segretaria del suo capo, Klio, è davvero molto interessante, perché si basa esclusivamente sulla professionalità e, non importa se sia una donna molto attraente e troppo spesso considerata solo per le sue forme. Kostas vede solo una grande poliziotta, una che sa fare bene il proprio lavoro, sprecata nel ruolo che è costretta a ricoprire.

La conoscenza passa anche dal buon cibo, e in questa serie ce n’è in abbondanza…

Il nostro racconto apre una finestra su cibo di altissima qualità, che in Grecia significa convivialità straordinaria. Quando si va al ristorante, siamo abituati a ordinare ciascuno il proprio piatto, nei locali greci, al contrario, vengono servite quantità sproporzionate di cibo, perché si dà per scontato che un’insalata greca, per esempio, la mangiamo in tre, se ordini i souvlaki (spiedini di carne alla griglia), ne arrivano nove e devono essere condivisi, perché quello che conta a tavola è lo stare insieme. Ho adorato per questo lo straordinario rapporto che Charitos ha con il cibo; sua moglie è una cuoca eccellente e usa questa qualità a favore o contro il marito. È certo che se offre a Kostas del riso bollito c’è una lite in corso, quando si alza bandiera bianca, la contesa è finita ed è il momento dei ghemistà (pomodori, peperoni e altre verdure ripiene di riso). Il nostro poliziotto ha però una passione smodata per i souvlaki, presenti ovunque nei baracchini di Atene. Una sera siamo usciti da un ristorante e siamo stati travolti dalla nebbia, che alla fine era il fumo rilasciato dai numerosissimi barbecue per strada allestiti in ogni luogo, pubblico e privato, per la festa della grigliata. A ogni passo c’era gente che offriva carne. Meraviglioso!

La musica è parte fondamentale della sua vita e della sua professione, quale musica, allora, sarebbe adatta al commissario greco?

L’interprete perfetto è proprio Andrea Guerra che ha composto la bellissima colonna sonora della serie. Sarebbe stato molto facile sconfinare in qualcosa di scontato, penso alle sonorità del sirtaki; invece, ha avuto l’intelligenza di puntare all’originalità, rispettando le sonorità tipiche della Grecia e facendosi interprete del tono della serie, in equilibrio tra crime serissimo e commedia, sempre un po’ nerastra.

Quando ha letto per la prima volta le pagine di Petros Markaris, quanto ha voluto distaccarsi dalle sue parole per costruire il suo personaggio?

Per un fatto di rispetto, ho cercato proprio di essere il più possibile quello che mi sono figurato attraverso la lettura dei libri. Markaris ha dedicato circa diciotto romanzi su questo commissario, facendolo parlare in prima persona, descrivere quello che vede, senza però mai parlare di sé. Nei libri desumiamo qualcosa del carattere di Kostas attraverso le sue azioni, il comportamento. C’è poi un altro libro – “Io e il commissario Charitos” -, una sorta di autobiografia in cui l’autore si confronta con il personaggio, con il quale riconosce un’assoluta corrispondenza, in cui racconta dell’amore viscerale per Atene, una città non proprio bellissima nella sua totalità, perché un conto è l’Acropoli, un altro la sua periferia, ma che nasconde angoli di bellezza improvvisi e inaspettati che devi avere il desiderio di cercare. Ho fatto lavorare dentro di me i pensieri di Markaris, ho girato tantissimo per la città cercando di capire e, alla fine, anche io ho scovato quegli angoli di bellezza meravigliosi, come osservare le persone che nei quartieri suonano le canzoni antiche con il bouzouki, conosciute anche dai ventenni greci.

Ci regala un’immagine che le è rimasta impressa di Atene?

Abbiamo girato le scede della centrale di polizia all’ottavo piano di un palazzo, un giorno mi sono fermato a osservare i tetti della città, non proprio bellissimi con la luce del giorno che evidenzia la presenza delle migliaia di boiler con i pannelli solari… alle otto della sera, però, all’ora del tramonto il panorama cambiava radicalmente. Tutte quelle scatole d’acciaio si illuminavano contemporaneamente, riflettevano il sole, facendo sembrare Atene una città di swarovski, completamente ricoperta di cristallo. È un’immagine folgorante, lì ho capito cosa intendesse Markaris. Quando un posto lo vivi dentro, scopri bellezze infinite.

Ha vissuto dentro questo personaggio, cosa vorrebbe portare di lui in sé stesso?

Mi piacerebbe moltissimo recuperare questa sua totale assenza di diplomazia, la capacità di dire, in certe occasioni, quello che va detto, senza sconti, senza perifrasi per evitare che qualcuno si offenda. Certe volte è giusto far arrivare la durezza di una frase, Kostas ci riesce, e un pochino gliela invidio. Spero che facendo un altro paio di stagioni imparerò a farlo anche io (ride).

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