Con garbo e ironia
ROBERTO INCIOCCHI
Le notizie, il racconto della politica nelle prime ore del giorno, il talk, il confronto con la Rete. Il conduttore di “Agorà” al RadiocorriereTv: «La televisione deve comprendere le esigenze d’attenzione e d’ascolto della società». E di sé rivela: «Da bambino cantavo nel coro della Cappella Sistina. Fu la voce, a vent’anni ad avvicinarmi alla Tv»
Come vivi l’arrivo ad “Agorà”?
Con grande felicità. Vengo da vent’anni a Sky, quando si è concretizzata questa possibilità ho riflettuto e c’è stato il passaggio. Una volta arrivato abbiamo cominciato a confrontarci e ho trovato un clima molto bello, di grande disponibilità. Entrando in una casa nuova ho ascoltato tutti quanti, ma ho portato anche un po’ della mia esperienza. Quello che mi ha fatto davvero felice, nel corso delle settimane, conoscendo le persone, è stato trovare una squadra straordinaria, con autori altrettanto straordinari. Ho capito da subito che era un gruppo collaudato sul lavoro, ma anche di brave persone che avevano voglia di fare bene. Questo mi ha messo in una situazione di relativa serenità. Non potevo essere accolto meglio.
Che cosa significa raccontare la politica, i grandi fatti, di prima mattina?
Lo faccio da molto tempo. Ognuno sceglie la propria cifra, quella che gli viene naturale: io sono un conduttore garbato, certo, il confronto può anche accendersi, ma deve rimanere all’interno di un confine accettabile. La conduzione del mattino accompagna le persone al loro risveglio con serenità, al tempo stesso devi fare in modo che tutti i passaggi della trasmissione siano ritmati.
Come sta cambiando il racconto della politica in Tv, nei talk?
È evidente che la politica oggi interagisce con la Rete in maniera primaria. Ma la televisione, che racconta tutto ciò che accade in Rete, diventa un ulteriore amplificatore di quello che è il mondo social. Penso che chi fa Tv debba comprendere le esigenze d’attenzione e d’ascolto della società, credo che oggi possa funzionare un talk garbato condotto con grandissima ironia. Ovviamente tu non porti la Bibbia, ma puoi portare elementi di verità politica. Si va verso un racconto più lineare.
Ci sono domande che non farebbe mai a un suo ospite?
Non c’è domanda che a un politico non si possa fare. Ce ne sono alcune molto scomode, ma sulla base della mia esperienza dico che a quella domandina che proprio non vogliono, se gliela fai al momento giusto, non attaccando, e con un po’ di ironia, i politici sono persino felici di rispondere.
Come nasce una tua intervista?
Sono un po’ un malato della preparazione, non stacco mai la spina e sono continuamente aggiornato. Qualsiasi cosa io faccia controllo le agenzie, sul tablet, sul telefonino. È difficile che io possa perdere anche un solo passaggio, sono in aggiornamento continuo (sorride). Preparo sempre uno schema di intervista, per poi, spesso, non seguirlo nel corso della diretta. Ascolto le parole dell’interlocutore, penso che una buona intervista arrivi solamente da un buon ascolto. È l’intervistato a portarti sul terreno buono. Tutti vogliono dire qualcosa, tu devi comprendere in quale momento fare la domanda. Se non ascolti e segui una griglia preparata, spesso l’intervista non viene bene. Lo stesso approccio vale per la gestione della diretta. Raccontiamo minuto per minuto quello che accade, allontanandoci quando necessario dalla scaletta, aprendo finestre.
Come ti poni di fronte a una palese bugia di un tuo intervistato?
Arrivo da una formazione musicale. Quando sono in onda avverto una specie di ritmo, quando diventa controtempo, perché c’è qualcosa che non funziona oppure io non riesco a portare l’ospite sul terreno giusto, o cambio completamente approccio o uso l’arma dell’ironia per ritrovare il ritmo. Devi cambiare spartito e per farlo devi avere più registri. Spesso ce la si fa.
Se potessi intervistare un protagonista della storia repubblicana passata, chi sceglieresti?
Dopo trent’anni che frequento il Salento sono un salentino di elezione. Ogni volta che mi capita di arrivare a Maglie vedo la statua di Aldo Moro davanti alla casa natia e mi colpisce tanto: raffigura Moro con l’Unità sotto il braccio. È un’immagine che racconta un pezzo della nostra storia. Il primo personaggio che vorrei intervistare è proprio lui.
Cosa gli chiederesti?
In una lettera alla famiglia scrisse una cosa bellissima, vado a memoria: “Mia dolcissima Noretta, se ci fosse luce sarebbe bellissimo…”. Era la rassegnazione di sapere di andare alla morte, di essere probabilmente un meccanismo importante della storia. In quel momento si rivolge a quel che accadrà di lì a poco e dice. Se potessi gli chiederei, ma c’è luce?
Politica a parte cosa ti dà emozione?
La musica. Ha fatto parte della mia vita sin da bimbo. Sembra 150 mila vite fa, ma nel 1978 ero solista del coro della Cappella Sistina, il più grande coro polifonico del mondo. Mi impegnava per molte ore della giornata. A 18-19 anni me ne andavo a fare pianobar la sera e mi guadagnavo qualche soldino per studiare…
Il tuo pezzo forte?
Gino Paoli. Andavo molto sul cantautorato italiano. Poi 20-25 anni fa, scoprii il ritmo ipnotico salentino, mi appassionai anche a tutti gli strumenti a cornice, dai tamburelli alle tammorre. Negli ultimi anni sono andato più sulla musica popolare che è un grande patrimonio del nostro Paese. A casa come in macchina, un sottofondo musicale devo sempre averlo.
La voce è stata per te anche la via d’accesso alla carriera televisiva…
È andata proprio così. Nel 1991 arrivai in Rai con un contratto da annunciatore, per leggere il giornale radio. Lavorai per un paio d’anni, fu una scuola straordinaria. Ero giovane e mi confrontavo con professionisti stimati. Poi, dentro alla voce, nel tempo, ho dovuto mettere dei contenuti (sorride).
La prima cosa che fai e pensi quando ti svegli…
Apro il tablet e vedo scaletta, copione e agenzie. Tutto questo con il primo caffè.
E la sera prima di dormire?
Ancora scaletta, copione e agenzie. È un microcosmo.