Con Dante per riscoprire il Per Sempre
PUPI AVATI
Il grande regista racconta il lato umano del Sommo Poeta nel film di Rai Cinema: «Ho cercato di proporre un Dante estremamente umano, con cui l’identificazione possa essere totale»
Un progetto, quello del suo “Dante”, che viene da lontano. Cosa prova oggiche questo film è diventato realtà, che ha raggiunto il grande schermo?
Una trepidazione dopo una rincorsa di vent’anni che è stata anche piacevole, e che ha fatto sì che la mia conoscenza di Dante, del mondo dantesco, del rapporto del Poeta con la cultura del suo tempo, soprattutto con Boccaccio, crescesse. Penso alle mie varie ricerche che in qualche modo si disseminano nell’arco della narrazione, alla collaborazione con i tanti dantisti che hanno partecipato come consulenti a questa scrittura: un periodo anche felice, in cui Dante è stato qui con me, con Boccaccio, forse per troppi anni. L’attesa, a un certo punto, induceva anche alla rassegnazione, ma io sono una persona caparbia e avevo la sensazione che fosse un film, come ha scritto un illustre intellettuale di recente, necessario. Dante andava risarcito, cinematograficamente o televisivamente parlando.
Un vuoto da colmare con un’opera capace di raggiungere una grande platea…
Si è trascurato l’italiano al quale dobbiamo di più, più celebre e tradotto nel mondo, e che ha avuto una vita avventurosa e dolorosa. La scuola ha un approccio diverso nei riguardi della sua vita e della sua opera. Andava in qualche modo supportata da un tipo di racconto che intervenisse sugli aspetti umani di questo personaggio. Attingendo da quell’opera indispensabile che è “La Vita Nova”, questo diario che Dante stesso ci ha lasciato all’indomani della morte di Beatrice, e dal trattatello di Boccaccio che è la prima biografia che abbiamo dell’Alighieri. C’erano delle premesse, dei presupposti, tra i quali il viaggio che Boccaccio fece da Firenze a Ravenna per andare a conoscere la figlia di Dante e portarle un modesto risarcimento di dieci fiorini d’oro, come se fossero sufficienti a risarcire del tanto male che i fiorentini avevano fatto al padre.
Che ricordo ha del suo primo incontro con Dante al tempo della scuola, della lettura de “La divina commedia”?
Penso alla curiosità che poteva indurti quel mondo ultraterreno, soprattutto l’Inferno, penso alla fascinazione che dà a un ragazzo il fatto che quell’aldilà venga descritto con una dovizia di particolari straordinaria. La spettacolarità dell’Inferno non poteva non sedurti. Tuttavia, l’autore di quell’opera, colui che l’aveva immaginata, rimaneva sempre sfocato, in campo lungo, senza una spiegazione sufficiente o una seduttività che un autore deve produrre nel fruitore, che sia un lettore o uno spettatore cinematografico. Ho cercato di proporre un Dante estremamente umano, con cui l’identificazione possa essere totale.
Quanta attualità c’è in Dante?
Dante è vissuto in un mondo in cui la sacralità prevaleva su tutto. È evidente che il mondo di oggi è estremamente distante, lo dimostra il fatto stesso che si sia affidato, per comunicare la sua visione delle cose, a uno strumento così elevato come la poesia. Sappiamo bene come oggi il poeta sia totalmente anacronistico, al di fuori di qualunque contesto. Il poeta vive di sue urgenze personali, scrive e cerca di pubblicare poesie ma consapevole che difficilmente gli daranno la gloria, difficilmente lo arricchiranno. Tra gli strumenti dell’espressione del sé la poesia è sicuramente quello più puro, meno contaminato dal commercio, quindi quello più distante da noi.
Racconta un Dante che non è solo spirito, ma anche un uomo che si confronta con le proprie passioni…
Non ho immaginato o inventato niente di più di quello che ha raccontato Boccaccio e che si desume da “La Vita Nova”, sono gli aspetti della sua quotidianità. Ad esempio, un Dante lussurioso, che amava le donne, un Dante che è inimmaginabile, lo si pensa sempre legato a quell’amore fatto di puro spirito per Beatrice, che certamente c’è, esiste, che lo accompagna per tutta la sua vicenda umana. Simultaneamente Dante continua a essere anche un essere umano, che tenta una carriera politica, con molti problemi, pieno di debiti, che accattona la sopravvivenza di signoria in signoria dove di volta in volta viene poi anche allontanato, un uomo che ha paura di combattere a Campaldino. Queste componenti lo avvicinano tantissimo. Quando lui incrocia il suo sguardo in quello di Beatrice, prima una bambina, poi una ragazza, che diventerà una donna e sposerà un altro e morirà, abbiamo la sensazione che in quello sguardo ci sia un’emozione universale.
Cosa ci insegna Dante?
La bellezza dell’idea che ci sia un sempre, questa locuzione avverbiale che è uscita dal nostro lessico. Vengo da un’Italia remota che, fino agli anni Sessanta, credeva in questo per sempre, era applicabile all’amore come all’amicizia, alle tue passioni di quel momento. Vivevi nella convinzione di poterti impegnare con le cose per sempre. Adesso tutto è volatile, volubile, destinato a durare un niente, in tutti gli ambiti. Tutto è perituro tranne la morte, l’unico momento della nostra esistenza al quale possiamo applicare questa locuzione. Dante ha una visione ancora diversa, sacrale in quel capolavoro che è “La Commedia”, che lo impegna per vent’anni, scritto nelle condizioni più punitive, più negative nelle quali si possa scrivere, perché scappando corre il rischio di essere bruciato vivo, decapitato. Scrive un capolavoro che si conclude con questa sua autocertificazione: “E io ch’al fine di tutt’i disii”, è il momento in cui, depurato da quelle che sono le tentazioni, i ricatti della vita, arriva a incontrare “l’amor che move il sole e l’altre stelle”, Dio. Insieme alla sua opera si conclude la sua vita. Non possiamo non immaginare che questo libro non sia un testo sacro.
Ha un ricordo che le è particolarmente caro dei due mesi trascorsi sul set?
I momenti in cui io non riuscivo a dire stop alla scena, quelli in cui Beatrice incrocia il suo sguardo con quello di Dante. In quei momenti sarei restato lì per sempre. Lo sguardo di lei è di una profondità e di un’intensità assolute, mi sono perduto in quello sguardo diventando il giovane Dante. Pur nel dolore, pur scambiando quello sguardo nell’istante in cui lei si sta sposando con un altro. È totalmente appagante e ti dice quanto Beatrice sia consapevole di essere Beatrice. Non è una barbie. Non è una bella ragazza e basta, è molto di più. Questi sono stati i momenti più alti della lavorazione.