Che Dio ci aiuti scalda il cuore
ILEANA D’AMBRA
Nella serie di Rai 1 è Catena, la giovane ospite del convento degli Angeli custodi determinata a diventare una cantante. Al RadiocorriereTv parla degli esordi a teatro e nel cinema e di una passione nata da bambina: «Avevo quattro anni quando dissi a mia mamma di volere vincere l’Oscar, due anni più tardi lei mi iscrisse a un corso di recitazione»
Dal 2020 a oggi nella sua vita professionale sono successe tante cose, con quale aggettivo definirebbe questo periodo?
In continuo cambiamento e mai uguale. Ho sempre cercato, e lo farò anche in futuro, di variare il più possibile le mie scelte professionali. Lo trovo stimolante.
Come nasce in lei la passione per la recitazione?
Sono sempre un po’ a disagio quando mi si fa questa domanda perché non c’è stato un momento vero e proprio. Dico sempre che è un po’ il mestiere a essere venuto da me (sorride). Avevo quattro anni quando dissi all’improvviso a mia mamma di volere vincere l’Oscar, due anni più tardi lei mi iscrisse a un corso di recitazione e da allora non ho mai smesso. A diciotto anni è arrivato il vero lavoro con una compagnia teatrale.
Ricorda il debutto?
A Roma, nel 2015, con “Cattivi ragazzi” al Teatro della Cometa, il protagonista era Francesco Montanari. Fu emozionante vedere il mio nome in cartellone. Finite le tre settimane di recite mi guardai allo specchio in camerino e capii di voler continuare.
E come andò?
Uscita dal liceo feci il provino in tutte le accademie, ma non venivo mai presa, pur arrivando molto vicina all’obiettivo. Provai per quattro anni senza mollare. A un certo punto cominciai a pensare che non fosse la mia strada. Ma mi rimboccai nuovamente le maniche fino a quando venni scelta per “Favolacce” dei fratelli D’Innocenzo. Stavo facendo un workshop con il casting director di quel film, Davide Zurolo, e arrivò la sua proposta. Il mestiere è venuto da me, ma io l’ho voluto fortemente. Credo che la fatica ripaghi.
Cosa significa essere un’attrice oggi?
Avere ancora più incertezze di ieri perché quello dell’attore è un mestiere sempre più precario. E poi avere una responsabilità umana e sociale importante.
Da qualche settimana è impegnata in Tv su Rai 1, come ha vissuto l’incontro con “Che Dio ci aiuti”?
Benissimo. L’ho voluto fortemente. Riavvolgo il nastro e torno allo scorso anno, avevo finito di girare due film molto impegnativi: “La prima regola”, di Massimiliano D’Epiro, e “Il maledetto” di Giulio Base, film drammatici. Dopo quelle esperienze ho pensato che avrei voluto divertirmi, puntando sulla vena comica che sentivo di avere. Con “Che Dio ci aiuti” mi sono divertita sin dal provino, ho svuotato la mente e ricaricato le batterie. Una nuova bellissima sfida.
Cos’ha pensato alla prima lettura del copione?
L’ho letto e ho detto: ci azzecco (sorride). Era tutto divertente e facile da raggiungere perché vicino alla mia personalità.
Della sua Catena ha apprezzato subito tutto?
Catena crede nella fortuna e nella sfortuna, nelle quali io invece non credo assolutamente, perché penso che siamo noi a muovere tutto. Ho avuto difficoltà ad accettare questo suo modo di pensare. Nel corso dei mesi mi sono poi affezionata anche a questa sua caratteristica.
Elena Sofia Ricci e Valeria Fabrizi sono due colonne della serie, come è andata con loro?
Ho avuto la fortuna di lavorare con Elena Sofia e la prima volta che ho fatto la scena con lei mi tremavano le gambe. La sua presenza scenica è magnifica. Valeria mi ha dato molti consigli, in modo affettuoso, sono state entrambe molto accoglienti.
Cosa le ha chiesto il regista Francesco Vicario?
È stato lui a insegnarmi a rendere comica Catena, ad azzeccare i tempi, che è una cosa molto complessa.
Cosa ci insegna “Che Dio ci aiuti”?
Scalda il cuore. È un prodotto profondamente onesto e porta un po’ di leggerezza d’animo. È quasi una coccola, è rassicurante e credo che questa sia una cosa molto bella.
C’è un consiglio che darebbe alla sua Catena per farle vivere al meglio la sua permanenza in convento?
Le direi di fidarsi di più di Azzurra, alla quale nasconde qualche piccola verità. E poi la inviterei a pensare di essere la padrona della propria vita.