In viaggio con la musica
GINO CASTALDO
Tra le firme più apprezzate del giornalismo musicale e conduttore, insieme a Ema Stokholma, di “Back2Back” e di “Back2Back Speciale Let’s Play!”, in prima serata su Rai Radio2. Della radio dice: «Si adatta ai tempi, non invecchia. L’essenza non cambia e questa penso sia la sua bellezza»
Dal 2017 ai microfoni di “Back2back”, ora sono tornati i live… cosa rappresenta per te questo programma e come vivi questo momento…?
“Back2back” continua a rappresentare uno spazio di libertà, di avventura. Il dialogo con Ema, che va avanti da qualche anno nella quotidianità, è per entrambi un modo di crescere insieme, e di farlo viaggiando con la musica e con gli ascoltatori con i quali c’è un feedback continuo. Osserviamo quello che succede in musica, ci rendiamo conto delle reazioni, lo facciamo anche attraverso gli ospiti musicali che ci vengono a trovare a “Back2Back Speciale Let’s Play!”, che hanno davvero tanta voglia di suonare.
Cosa hanno dato (o tolto) alla musica gli ultimi due anni?
Hanno tolto una delle cose essenziali per i musicisti, i live, e hanno dato sicuramente una possibilità di maggiore riflessione sul ruolo della musica. Molti artisti hanno capito ancora di più l’essenza del loro lavoro, anche nella privazione di parte di questo. La mancanza dei concerti dal vivo ha avuto un effetto paradossale, è avvenuta in un momento di grande trasformazione della nostra musica, con un tasso di cambiamento che non si percepiva da molti anni. Il paradosso è questo: una rivoluzione musicale che ha avuto pochi sbocchi dal vivo.
I giovani artisti quanto hanno pagato tutto questo?
Alcuni sono diventati delle star nel giro di due anni, ma magari non si sono mai esibiti in pubblico, o lo hanno fatto pochissime volte. Ce ne sono alcuni che hanno il dono di Madame, quando è arrivata a Sanremo credo che fosse la seconda volta in tutta la sua vita che si esibiva davanti a un pubblico. Lei è dotata naturalmente, ed era come se l’avesse sempre fatto. Altri sono cresciuti nel pensare, nello scrivere e nell’incidere la musica, ma sono immaturi per l’esibizione live.
Per chi la musica la racconta, cosa vuol dire stare “back”?
In questo momento più che la critica musicale mi piace raccontare la musica. Penso sia la forma più adatta ed efficace in questo momento storico. Mi piace farlo in tanti modi, attraverso libri, le serate, grazie alla radio.
Quando hai capito che la musica sarebbe stata la colonna portante della tua vita…?
Tutto questo è avvenuto in un’epoca in cui il mio lavoro non esisteva (sorride). È stata un’equazione venuta fuori naturalmente, nulla era previsto. Amavo scrivere e mi vedevo proiettato in quello, e poi ero appassionatissimo di musica, pur non suonando o cantando. La musica sui giornali era un fatto di cronaca, non esisteva un giornalismo musicale. Quando mi chiamarono da Repubblica, che ancora doveva uscire in edicola, mi chiesero se volessi collaborare con il loro progetto. La cosa bella fu che ringraziai e dissi di doverci pensare. Non lo feci per presunzione, ma perché in quel momento si dava un’enorme importanza ai valori, all’etica, quindi la prima cosa da pensare era se fosse giusto o meno farlo. Ne parlai con gli amici, per fortuna alla fine accettai. Da lì lo scrivere di musica divenne gradualmente il mio lavoro. È stato un po’ romanzesco, erano anni in cui le cose erano più avventurose di oggi.