CARMINE RECANO

La scuola e l’arte per cambiare le cose

Un incontro, quello con la recitazione, avvenuto quasi per caso accompagnando un amico a un corso di teatro. Nella carriera dell’attore napoletano, da fine anni Novanta a oggi, si sono alternati i set di cinema e televisione ai palcoscenici dei teatri, il genere drammatico alla commedia. Una popolarità crescente fino alla consacrazione con “Mare Fuori” e oggi con “Belcanto”, fiction di successo in onda il lunedì su Rai 1

 

“Belcanto” su Rai 1, il ritorno di “Mare Fuori” su RaiPlay e presto su Rai 2, come vive questo momento lavorativo così intenso?

Dopo nove mesi consecutivi di set siamo stati impegnati nella promozione di entrambe le serie: “Belcanto”, il cui riscontro di pubblico è importante, e “Mare Fuori”, che partirà a breve. Sono stanco, provato ma davvero molto contento (sorride).

Come è stato l’incontro con il personaggio di Carlo Bernasca in “Belcanto”?

Particolare. Ho cercato di portare in scena il suo dolore. Bernasca è segnato dal proprio passato, con la morte del figlio si è chiuso in se stesso, in una zona grigia, e ha iniziato a trafficare armi. Quando incontra Maria e le figlie avviene il cambiamento. Lui non giudica, il dolore gli ha insegnato ad accogliere. Per questo motivo apre la propria casa alle tre donne ed empatizza con loro. Da attore ho messo Carlo in ascolto.

Dietro la macchina da presa ha ritrovato Carmine Elia, regista che già la diresse nella prima stagione di “Mare Fuori”…

Carmine arriva sul set e stravolge qualsiasi cosa, lo fa ogni giorno, con lui anche studiare a memoria la parte non serve (sorride), è un allenamento continuo. Ti leva le strutture, le sicurezze, e così esce la tua parte vera, sincera.

È il 1848, le regioni del Nord Italia vogliono l’indipendenza dall’Austria, le tre protagoniste lottano per un futuro diverso…

In “Belcanto” ci sono i fatti della storia ma ci sono soprattutto i temi del riscatto sociale e dell’emancipazione femminile, che si realizzano anche attraverso il canto, la lirica. Lo sfondo storico, il sentimento rivoluzionario diffuso, vanno di pari passo con la storia di tre donne in cerca di una vita nuova…

Le è capitato o le capita di sentirsi in qualche modo “rivoluzionario”?

Ho sempre lottato per la mia indipendenza e la mia libertà interiore, pur avendo avuto una famiglia che mi ha trasmesso valori importanti e ha sempre rispettato le mie scelte osservandomi da lontano. Nel costruire la mia carriera mi è capitato di dover lottare, di mettermi in gioco. Come uomo sono stato motore di me stesso.

“Belcanto” come “Mare Fuori”, dietro al successo di una serie ci sono sempre le persone…

Persone con cui lavoro da tempo, persone che scelgono di lavorare di volta in volta insieme, e che per me sono famiglia. Il successo di un progetto passa anche attraverso il valore umano di chi ne fa parte. Quando c’è un gruppo di lavoro che si stima, si rispetta e si vuole bene, fa la differenza. Tutto questo arriva allo spettatore.

In “Mare Fuori” ritrova Massimo Esposito, il comandante, come è cambiato, nel corso delle stagioni, il suo personaggio?

Massimo sa creare una connessione umana con gli altri. Ha questo legame paterno con i ragazzi, abbraccia le loro storie e cerca di creare un rapporto di fiducia, che gli permette di andare oltre le apparenze. In questi anni Massimo mi ha dato la possibilità di vivere emozioni diverse, prima con il rapporto paterno con Carmine, poi la sua vicenda familiare. Oggi ritroveremo un comandante più solo nella sfera privata ma molto più partecipe all’interno del carcere. Ci saranno i nuovi ingressi che porteranno scompiglio nell’IPM, motivo per il quale il suo rapporto con la direttrice sarà più conflittuale. Avranno una visione diversa. Altro elemento centrale della narrazione è il rapporto con Rosa Ricci. Nella serie precedente Massimo promise a Carmine di salvarla, farà quindi di tutto per riportarla sulla retta via.

Cosa dà l’essere napoletano al mestiere dell’attore?

Potrei dire la tradizione della commedia dell’arte, che influisce sul nostro percorso formativo, o il fatto che Napoli è sinonimo di arte e bellezza, ma credo che a fare la differenza sia soprattutto il potenziale umano delle persone. Se vivi ogni giorno questa città ti rendi conto di questo e lo fai tuo.

Cosa ha capito di più dei giovani grazie a “Mare Fuori”?

Vengo da un contesto popolare, molte delle storie narrate da “Mare Fuori” non le ho vissute direttamente ma tramite le esperienze degli altri. Ho imparato che purtroppo nella vita non tutti hanno la possibilità di scegliere con consapevolezza, perché a volte mancano gli strumenti. E quando non hai gli strumenti giusti per affrontare momenti difficili è molto più semplice sbagliare. Per questo motivo, da adulto, penso che si debbano rimettere al centro della nostra società la scuola, l’arte e lo sport, gli unici strumenti che abbiamo per cambiare le cose. La scuola e la famiglia ti trasmettono i valori, l’arte ti dà consapevolezza, sono le basi della vita. Se non hai la fortuna di studiare fai fatica ad affrontarla.

Come vive il raggiunto successo?

Ho un’età nella quale vivo in modo sereno ciò che mi accade oggi, consapevole del fatto che questo lavoro è fatto di alti e di bassi. Detto questo, sono stato anche fortunato, perché iniziai per caso. Accompagnai a un corso in teatro un amico che aveva problemi a socializzare. Fecero dei provini, mi notarono e dopo quindici giorni arrivò la telefonata a casa. In questi anni ho avuto una mia continuità lavorativa. Certo, mi sono sacrificato, ho lavorato molto tra film, serie e teatro, fino ad arrivare a oggi.

Un attore si abitua ad ascoltare e ad accettare il giudizio degli altri?

Facendo l’attore ti esponi inevitabilmente al giudizio altrui. Certo, fa piacere quando hai un riscontro affettuoso da parte del pubblico (sorride). Nella vita in generale, invece, il giudizio degli altri non mi ha mai toccato.

Se apre il cassetto dei sogni, cosa vede?

Non sono un sognatore, sono una persona realistica, molto pratica. Ogni tanto guardo indietro, do un occhio al passato, ma vivo molto il presente.

Cosa le dà felicità?

Tutto quello che ho fatto nella vita, la famiglia che ho costruito, il lavoro che faccio. Questo mi rende sereno, ecco, credo che la serenità sia una cosa ancora più alta rispetto alla felicità.

 

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