CARLO CONTI

Che fermento ragazzi!

Il direttore artistico e conduttore del Festival della Canzone Italiana al RadiocorriereTv: «Dal cantautorato classico alle influenze urban, dall’elettronica alle ballate più tradizionali, il pop si mescola sempre più con altri generi, e questo dimostra quanto gli artisti di oggi siano curiosi, aperti e disposti a sperimentare»

 

A distanza di otto anni dal suo ultimo Festival come vive il ritorno all’Ariston?

Sono sereno e tranquillo! Sanremo per me è una seconda casa, un appuntamento speciale. Tornarci è un grande piacere: non c’è ansia, solo tanta voglia di cominciare. In questi anni il Festival ha saputo evolvere e la musica italiana è cambiata ancora, diventando sempre più forte e soprattutto sempre più seguita dai giovani. L’obiettivo è continuare a valorizzarla.

 

Ha detto che “per fare Sanremo ci vuole orecchio”. Come il suo orecchio l’ha guidata nella selezione di brani e artisti?

L’orecchio serve per cogliere la qualità della canzone, la sua originalità, l’emozione. Ho ascoltato tantissimi brani e ho cercato quelli capaci di arrivare maggiormente al pubblico. In questo Festival c’è tutto, una varietà di generi e di sonorità che secondo me rappresentano al meglio la musica italiana di oggi.

 

I tanti brani che le sono arrivati, insieme a quelli selezionati, che fotografia danno delle tendenze musicali italiane?

La musica italiana è in fermento come non mai. C’è grande varietà: dal cantautorato classico alle influenze urban, dall’elettronica alle ballate più tradizionali. Il pop si mescola sempre più con altri generi, e questo dimostra quanto gli artisti di oggi siano curiosi, aperti e disposti a sperimentare. La cosa bella è che, rispetto al passato, la musica italiana è ascoltatissima anche dai giovani. E Sanremo ha il compito di raccontare tutto questo.

 

Che storie raccontano i giovani musicisti?

Parlano di se stessi, del loro microcosmo. Raccontano le loro emozioni, le difficoltà di una generazione che vive tra incertezze e sogni da realizzare. Parlano di amore, certo, ma anche di fragilità, di ricerca di identità, di bisogno di appartenenza. Sono diretti, autentici, e il loro modo di scrivere è molto vicino al linguaggio quotidiano e questo li aiuta ad arrivare dritti al cuore di chi li ascolta.

 

Cosa deve accadere affinché la musica (e gli artisti) non vengano dimenticati e sostituiti in fretta?

Oggi viviamo in un’epoca in cui tutto corre veloce, spesso un artista rischia di essere una meteora. Ma chi ha qualcosa di autentico da dire, chi ha una forte identità artistica e costruisce il proprio percorso con dedizione, resta nel tempo. In questo senso la gavetta e l’esperienza sul palco sono importanti, fanno la differenza dall’avere una sola hit al costruire una carriera solida, che lasci il segno.

 

Quanta tradizione e quanta innovazione per far sì che il Festival di Sanremo sia sempre il Festival di Sanremo?

Sanremo è un evento che vive di tradizione e innovazione, il segreto è trovare il giusto equilibrio. Non può rinnegare la sua storia, perché è quello che lo rende unico e riconoscibile, ma deve anche saper parlare al pubblico di oggi. Negli anni ha saputo rinnovarsi, aprirsi a nuovi linguaggi e a nuovi suoni, e continuerà a farlo. La chiave è mantenere l’anima del Festival, rispettando le sue radici ma senza paura di cambiare.

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