Baracca, un eroe visionario

GIUSEPPE FIORELLO

L’attore veste i panni dell’aviatore, coraggioso pilota nella Prima guerra mondiale. Il Docu-film “I cacciatori del cielo”, in onda il 29 marzo in prima serata su Rai 1, è anche l’occasione per celebrare il centenario della costituzione dell’Aeronautica Militare, e racconta le imprese eroiche, la vita e l’amicizia dei pionieri del volo

“I cacciatori del cielo” ci porta alla Prima guerra mondiale, come è stato il suo approccio al copione e al suo personaggio, il pilota del Regio esercito Francesco Baracca?

L’approccio è stato di curiosità. Sapevo poco di Francesco Baracca e ho avuto l’opportunità di scoprirlo, di conoscere quel momento pionieristico della nostra aeronautica che iniziava con i voli da guerra e che guardava al futuro. Le nuove tecniche di volo nascono proprio in quel periodo, con quei personaggi, nasce la nuova visione del volo, anche di quello civile.

Che cosa l’ha incuriosita di Baracca?

Il coraggio e per paradosso la lealtà. Documenti storici ci dicono come indicasse ai suoi, in fase di combattimento, di mirare solo ed esclusivamente all’aereo e mai al pilota, al nemico uomo, sperando di abbattere l’aereo e di salvare l’uomo. È paradossale, si sa che applicare questo in guerra è quasi impossibile, ma lui ci provava. La sua azione militare finiva con l’abbattimento dell’aereo, anche se molto spesso però le vite si perdevano ugualmente. Come accade in tutte le guerre, è la storia di giovani che vanno a difendere la loro nazione mettendo a rischio la propria vita.

Tema particolarmente attuale

Le guerre, purtroppo, si sono sempre somigliate e si somigliano. Speriamo che quella in corso si fermi qui. I punti di contatto tra la storia che raccontiamo e il conflitto attuale mi hanno molto emozionato.

Si può dire che in Baracca ci fosse una sorta di etica della guerra?

L’etica è difficile trovarla in una guerra. Quei soldati si aggrappavano a tutto per sperare che finisse, che si potesse fare meno male possibile. Ma in fondo, poi, è la storia dell’uomo che ci dice che in guerra ci va quasi sempre chi non la vuole. Erano e sono i giovani soldati ad andare in trincea, in guerra. Le menti diaboliche, pensanti, che le scatenavano, raramente si trovavano lì fisicamente a combattere, come oggi del resto. Chi ne faceva e ne fa ancora le spese sono i ragazzi, gli uomini, i padri di famiglia, i fidanzati, i fratelli, i mariti.

Che significato dà alla parola eroe?

L’eroe è colui, colei, che vive rispettando la vita degli altri. Per essere eroi non c’è bisogno di fare un atto eroico straordinario. Lo si è nei piccoli gesti quotidiani, rispettando la vita e con l’amor proprio. Se rispetti molto te stesso hai uno sguardo più attento anche verso gli altri.

Il volo cent’anni fa, che emozioni provavano gli aviatori di allora?

Ho immaginato una sensazione costante di adrenalina ai massimi livelli. Loro sapevano di salire su mezzi che dipendevano esclusivamente dalle loro capacità, caricavano la mitragliatrice con una mano mentre tenevano col ginocchio la cloche. Era tutto manuale. Oggi l’adrenalina è probabilmente identica, ma il pilota è parte della tecnologia. All’epoca il pilota era la tecnologia.

Che cosa sono il volo e il cielo per Giuseppe Fiorello?

Spesso sogno di volare con il mio corpo, di farlo a braccia aperte. Sembra un po’ una scena del film “Il grande Lebowski” dei fratelli Coen, con Jeff Bridges, che mi ha sempre fatto divertire. E poi non posso non ricordare il volare di Domenico Modugno, che mi appartiene tanto, e che ha fatto volare l’Italia negli anni del boom economico. C’è anche il prendere l’aereo, cosa che mi intimidisce. Ho sempre trovato un po’ innaturale che tanta roba possa galleggiare nell’aria, ma lì c’è la dimostrazione del genio umano. Genio che svanisce in un sol colpo quando non ci accorgiamo che centinaia di persone, bambini, annegano nei mari del nostro Paese. Questi due estremi umani mi fanno impazzire. L’uomo è capace di far volare un aereo, ma non di salvare delle vite umane che stanno navigando per cercare la salvezza. Poli opposti difficili da collegare.

Il pubblico non manca di tributarle stima e affetto, che cosa significa essere un attore, ed esserlo oggi?

A questa domanda ne aggiungo un’altra. Sono un attore o faccio l’attore? Credo di essere un po’ l’uno e un po’ l’altro. Farlo è dare a te stesso e agli altri un’esigenza, un motore che ti smuove, essere attore, invece, richiude in sé tutta la parabola della tua vita. All’interno dell’essere attore metti alcuni pezzi della tua esistenza, per entrare in un personaggio, in una storia. E poi c’è un terzo livello, che è la regia. Il fatto di essere un attore che sta dietro alla macchina da presa è affascinante, nella consapevolezza di come si vive dall’altra parte. Gli attori sono spesso persone molto fragili, molto delicate e che stanno seriamente giocando a un mestiere molto bello.

A chi dedica questo lavoro?

Lo voglio mettere al centro dell’attenzione del mondo politico internazionale affinché la storia della guerra, del combattere, del difendersi, non si ripeta. Perché dobbiamo pensare di difenderci da un Paese vicino? Perché l’umanità deve sempre difendersi da qualcuno? So che sono discorsi utopistici e sembrano anche qualunquisti o buonisti, non mi importa di quello che penseranno i lettori. Possono giudicarmi. Mi piace riflettere sulle parole, sui fatti, sugli eventi. Mi pongo sempre delle domande e mi chiedo perché non si possa vivere una convivenza, all’interno della quale possa esserci un confronto umano, non violento. Confrontarsi dà energia ma non deve mai sfiorare il sentimento della violenza. Dedico questo lavoro a coloro che non hanno capito tutto questo, a quelli che possono fermare questa guerra.

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