Amica delle donne
Miriam Dalmazio
Bocca cucita sul nuovo progetto Rai che la vede impegnata in questi giorni, il RadiocorriereTv incontra la talentuosa attrice siciliana che presta anima e corpo all’avvocato Nina Battaglia: «È facile giudicarla severamente, dire che sia la classica borghesotta milanese, antipatica e snob. Sono andata a cercarla proprio nei suoi pochi momenti privati, andando a scovare la sua fragilità»
Una siciliana a Milano, com’è andata?
Un viaggio emozionante che ci ha impegnato molto nel riadattamento di una serie inglese, quasi introvabile in Italia. Uno dei motivi che mi ha spinto ad accettare è stato proprio il non dover fare la siciliana, è un ruolo completamente nuovo per me, quello della milanese in carriera, divisa tra tailleur e aperitivi. È stato tosto, soprattutto dal punto di vista della dizione, anche perché sono una siciliana che vive da anni a Roma e ho dovuto compiere un doppio sforzo di correzione. Per me Milano è come New York, e dopo la serie ancora di più. Abbiamo girato tra i grattacieli della città, tra prospettive, linee così dritte e molto grigio a me sconosciuto.
Che esperienza è stata sul set di “Studio Battaglia”?
Un’esperienza molto serena, quando ti ricapita di lavorare con tutte queste donne? Ci siamo fatte simpatia subito, è stato molto facile entrare in sintonia. Devo ringraziare poi il regista, Simone Spada, professionista pazzesco, una persona davvero simpatica e aggregante. La novità è il racconto di una famiglia al femminile, ricrearla non è stato difficile grazie a tutte le condizioni favorevoli. Il pubblico, credo, non farà fatica a riconoscersi nei temi affrontati, trasversali e che riguardano tutti noi.
Qual è stato il punto di incontro tra la scrittura ricca di Lisa Nur Sultan e il ritmo visivo di Simone Spada?
La storia della famiglia, che appartiene alla cultura italiana. Su questo c’è stato accordo da parte di tutti, cast, sceneggiatori, regista. Abbiamo lavorato sul ritmo, ma soprattutto sull’ironia. È una serie che unisce molti generi, il family, il legal, il drammatico, quello che abbiamo voluto evitare è stato il mélo. L’aspetto ironico doveva essere il collante, il regista è stato molto bravo a orchestrarci e indirizzarci in questa direzione, tenendo un’ironia molto asciutta, stile british.
Qual è stato il suo incontro con Nina, dalla prima lettura alla messa in scena?
Nina ha bisogno di tempo per essere realmente compresa. Nella serie ci sono molti momenti in cui sta davanti alla gente, pochi invece quelli privati. Potrebbe essere facile giudicarla severamente, considerarla la classica borghesotta milanese, antipatica e snob. Anche io l’ho fatto, poi però le ho dato fiducia e sono andata a cercarla proprio nei suoi pochi momenti intimi, andando a scovare la fragilità. È questa forse la caratteristica che accomuna tutte le donne Battaglia, non rinunciare mai alla propria femminilità in un contesto prettamente maschile, quello dell’avvocatura. Sono donne che si fanno strada e costruiscono la loro identità e forza non dimenticando fuori dal lavoro quell’universo caldo, amorevole, fragile. All’inizio non riuscivo proprio a trovare il cuore di Nina, quando è successo l’ho accolta.
Dietro i personaggi “antipatici” a volte si nascondono belle sorprese…
È vero, infatti sono andata a scovare la sua bellezza proprio dietro le crepe interiori.
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