Alessio Vassallo

Sono un cantastorie siciliano

Legatissimo alla sua terra d’origine, è Mimì Augello, il vicecommissario del giovane Montalbano. L’attore si racconta al Radiocorriere, ricordando il grande scrittore scomparso un anno fa: “Camilleri era un uomo di contenuti. Era lucidissimo ed era forse il più contemporaneo di tutti. Il nostro compito è quello di continuare a custodire e a tramandare i suoi pensieri”

Lei è un siciliano Doc che porta dentro tutto il calore della sua terra…

Sì, sono un siciliano doc nel senso che essere siciliano è proprio una condizione, un legame fortissimo con le radici che non riesci ad abbandonare neanche se lo vuoi, neanche con il tempo. Ormai sono sedici anni che vivo a Roma, ma nonostante ciò penso in siciliano, respiro in siciliano, il mio modo di vivere è quello ed è molto divertente. Molti amici a Roma sono siciliani, come se ci fosse una sorta di calamita che ci attira fra di noi, anche se ci troviamo fuori dalla Sicilia.

Spesso ha portato la sua terra in teatro, come preferisce raccontarla?

Ho avuto la fortuna di raccontare la mia terra in vari modi, sia al teatro sia in televisione, e ho avuto anche l’onore di raccontare la Sicilia che amo, quella coraggiosa, che volta le spalle alla criminalità organizzata. In molte serie tv vengono descritti e raccontati i cattivi, ma penso che cambiare il punto di vista e spiegare quello delle vittime sia un’operazione più coraggiosa. In tv o al cinema il carnefice ha sempre attirato di più, ha sempre avuto più fascino, mentre raccontare una vittima è molto delicato. Ho avuto la fortuna di poterlo fare sin dagli inizi, ad esempio con Beppe Fiorello ne “La vita rubata”, con Libero Grassi, a teatro con “Dieci storie proprio così”, al Piccolo di Milano e al Teatro Argentina a Roma, raccontando prima le vittime di mafia, poi la memoria storica e contemporanea di persone vive che dicono no alla criminalità organizzata e che ribadiscono con forza  che “non siamo noi che dobbiamo abbandonare il nostro territorio, ma siete voi che dovete andate via perché inquinate la nostra terra”.

Si è cimentato in parti impegnative al cinema, ha portato a teatro argomenti scomodi come la mafia e in tv programmi dedicati ai grandi della letteratura italiana. Perché questa scelta?

Anche la mia compagna a volte mi chiede di interpretare delle parti più leggere. Io mi reputo però un cantastorie. L’aspetto che mi interessa di più, quando decido di interpretare una parte, è che tipo di storia vado a raccontare, di che storia faccio parte, perché penso che, oltre al fine dell’intrattenimento, nel nostro lavoro sia importante quello che comunichi alle persone. Io sono un grandissimo amante della letteratura e, ad esempio, “L’altro 900” con il quale giro tutta l’Italia, racconta questo spaccato di autori, magari meno conosciuti. Stesso discorso vale per i documentari su Pio La Torre, su Libero Grassi, per l’Eneide  contemporanea che abbiamo portato al Teatro Argentina, completamente ribaltata, dove il viaggio diventa di necessità e di conoscenza. Amo molto questo lato pedagogico, culturale del mio lavoro. Il sapere che nel mio piccolo posso far riflettere gli altri.

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