Alberto Malanchino

Ho imparato a fare i conti con le emozioni

foto di Erika Kuenka
Il RadiocorriereTv ha incontrato l’attore milanese che interpreta il dottor Kidane in “DOC. Nelle tue mani”: «È il porta bandiera delle serie italiane: c’è una storia molto forte, ben scritta, parla dell’Italia e ha successo all’estero!». Del suo personaggio dice: «Si entra sempre più a fondo della sua intimità, Gabriel dovrà fare i conti con le sue fragilità». L’appuntamento è il giovedì su Rai1.
Due anni fa arrivava “DOC” ed è stato subito colpo di fulmine…
Siamo davvero molto felici per come sono andate le cose, dell’impatto avuto sul pubblico di una serie che si basa sull’empatia e sulle seconde possibilità. Ci siamo chiesti all’inizio se fosse la scelta giusta presentare “DOC” proprio nel bel mezzo di una pandemia, era davvero un momento estremamente delicato in Italia e nel mondo. Dopotutto si trattava di un medical drama… Poi però ci siamo resi conto che non era un progetto che parlava solo di medici, piuttosto dei legami profondi che connettono le persone, a prescindere dalla medicina. C’è stata una alchimia giusta tra un’ottima sceneggiatura, una sapiente regia (la prima stagione affidata a Jan Maria Michelini e Ciro Visco, la seconda a Beniamino Catena e Giacomo Martelli), e un cast di giovanissimi attori tirato su molto bene.
 
E un set che ha funzionato alla grande, con Luca Argentero come fratello maggiore…
È stato un gruppo caratterizzato da un forte spirito di collaborazione, grazie anche a Luca e ai registi. Quando si lavora bene, il resto viene più facile. Luca non è stato solo un fratellone, ma un capitano di questa squadra capace di sostenerci, soprattutto nei periodi più difficili. Come potete immaginare, abbiamo lavorato in condizioni precarie, sotto stress per le moltissime restrizioni e scadenze, ma lui ha mantenuto sempre una grande lucidità, alleggerendo la pressione.
 
La pandemia è entrata anche nel vostro racconto…
È vero, inevitabilmente si parla anche di covid, lo abbiamo visto nella prima puntata, ma è importante dire che la pandemia non è la protagonista della nostra storia. Sul set il virus è stato una sorta di anti-compagno, l’antagonista, lo spettro che ti viene a trovare, poi però ci siamo abbandonati alle emozioni. Nella sfortuna del momento storico, la nostra professione consente a noi interpreti quella piccola magia di attingere al nostro quotidiano per metterlo a servizio del personaggio e della scena.
 
Dal suo primo incontro con Gabriel a oggi, com’è cresciuto il personaggio?
Si entra sempre più a fondo della sua intimità, se nella prima stagione lo spettatore percepiva il suo trascorso di ragazzino arrivato in Italia dopo aver subito violenze e maltrattamenti, dopo aver visto morire tutta la sua famiglia e gli amici, in “DOC2” abbiamo giocato molto di più sulle fragilità di Gabriel, anche lui, come medico, messo a dura prova dalla pandemia.

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