Al servizio del pubblico, con la schiena dritta

FEDERICO RUFFO

“Mi manda Rai Tre” torna dal 16 settembre il sabato e la domenica mattina alle 9.10. Il RadiocorriereTv incontra il conduttore del programma amico dei consumatori

Per il quarto anno alla guida di “Mi manda Rai Tre”, com’è cambiato il programma nel corso delle edizioni?

Quando l’ho ereditato, “Mi manda Rai Tre” era molto, molto differente da quello che è oggi, nonostante fosse già in parte cambiato nel corso degli anni precedenti. Quando Michele Lubrano iniziò nel 1990 la televisione era diversa, così come il concetto di diritto del consumatore.

Era la Tv rivoluzionaria di Angelo Guglielmi…

Era un momento in cui tutto quello che veniva fatto era nuovo e lo era anche il linguaggio utilizzato. Ovviamente le cose dopo tanto tempo vanno riviste, e così con Franco Di Mare, allora direttore di Rai 3, ci siamo interrogati su quale potessero essere il percorso e l’idea da seguire. Pensammo di fare quello che era stato fatto anni prima con “Chi l’ha visto?”, la cui formula originale era già stata rivisitata. Perché occuparsi soltanto delle persone scomparse cercando di riportarle a casa, quando la tecnologia aveva un po’ preso il posto di quello che faceva la Tv? E così il programma aprì alla cronaca nera, ai grandi delitti, con grande successo di pubblico. A “Mi manda Rai Tre” abbiamo capito che era necessario spostarsi sul reportage, sull’inchiesta, invertendo il paradigma: mentre prima erano solo ed esclusivamente i cittadini a segnalarci quello che non andava, quello che subivano e a chiederci una mano, dovevamo anche noi raccontare loro quello che non sapevano. Si è allargato il nostro raggio d’azione, siamo andati oltre le truffe, abbiamo cominciato a parlare della qualità del cibo, di salute, di come vengono spesi i soldi delle nostre tasse…

Per essere ancora di più a servizio del pubblico…

E sempre con la schiena dritta. Parliamo a tutto il pubblico, anche ai giovani, lo facciamo attraverso RaiPlay, Internet, con numeri importanti. Anche in termini di risultati social siamo subito dietro i grandi programmi e, di puntata in puntata, crescono gli spettatori giovani.

Quanto è complesso, oggi, difendersi dalle truffe?

Mostruosamente, perché è tutto molto più veloce di un tempo, quando le truffe

richiedevano diversi passaggi. A chi non è accaduto in questi anni di rischiare di rimanere vittima del fishing (truffe informatiche), anche attraverso il telefono? Chi non ha ricevuto un messaggio, una mail, che sembravano arrivare dalla banca, e che invece nascondevano una truffa? Ricevi il messaggio sullo smartphone, lo apri, vieni avvertito della presenza di operazioni sospette sul conto corrente e ti si chiede di verificarle aggiornando le informazioni. A quel punto, nel giro di cinque minuti, i tuoi soldi sono ci sono più.

Distinguere il vero dal verosimile, è questa la sfida?

È soprattutto capire che il verosimile è diventato molto più verosimile di un tempo. Prima, con un minimo di attenzione, potevi capire, ora non più. La parola d’ordine è prevenire.

In che modo?

Informando, spiegando, e nel caso di “Mi manda Rai Tre” spingendo il pubblico a porsi delle domande. Perché  se hai un dubbio, se non riesci a capire dove qualcuno stia guadagnando in un’operazione che ti viene proposta, allora vuol dire che il guadagno sei tu.

Come è cambiato il rapporto del programma con il pubblico?

La casalinga di Voghera non è più quella di trent’anni fa. Ha studiato, non chiede che le si spieghino in maniera semplice le cose, ma pretende qualità e cerca un racconto che sia dinamico, pretende che le cose abbiano senso, che siano di qualità. La qualità continuerà a fare la differenza.

“Mi manda Rai Tre” ha oggi una nuova pelle, un’identità riconoscibile…

Non è stato facile cambiare marcia, cambiare linguaggio, capire quale poteva andare bene. Io arrivavo da “Report”, una delle prime serate più viste dell’azienda, ed ero convinto che quel linguaggio potesse funzionare. Ma nel tempo ho capito che quella marcia, in questo programma, non era giusta.

Che cosa ti hanno insegnato questi tre anni di trasmissione?

A dedicarmi completamente a un programma, a diventarne genitore. Essere a capo di un progetto è un po’ come esserne il papà. Ho avuto dei maestri eccezionali che non si staccavano un minuto dal montaggio, penso a Riccardo Iacona che non si allontana mai dalla redazione. Riccardo è un gigante. Lo stesso valeva per tanti maestri che a volte mi sembravano frettolosi nei tagli e nelle valutazioni, che mi pareva non capissero quanto lavoro c’era dietro. Poi, quando diventi genitore, capisci che avevano sempre ragione loro. Per me è stato così. Di un programma devi conoscere ogni frame. Devi assicurarti che ogni secondo di quello che hai prodotto, sia il meglio che si potesse fare.

Con il programma hai raccontato tante storie, ce n’è una che ti ha toccato più delle altre?

A segnarmi di più è stata quella degli orsi del Trentino, in particolare quella di M49 che è stata rivelatrice di tante cose, a partire da una percezione netta tra chi in questo Paese è convinto che dobbiamo restituire qualcosa alla natura e chi invece pensa il contrario. Di quel reportage mi occupai in prima persona per vedere da vicino quell’essere magnifico, fu incredibile sentirlo respirare a un metro da me e capire che era condannato all’ergastolo. Penso anche a una storia sulle contaminazioni alimentari, la gente spesso dimentica che anche mangiare soltanto un pezzo di formaggio fatto con il latte non cotto, può costarci un’infezione incredibile.

Ai vostri telespettatori che cosa auguri?

L’augurio è doppio, in primo luogo di non avere bisogno di noi (sorride). Quindi di essere contenti di vederci, di pensare che il tempo che trascorrono con noi sia ben speso. Anche perché il tempo, lo sappiamo, è la cosa più preziosa che abbiamo.

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