Adriano Pantaleo
Sono cresciuto a pane ed Eduardo
L’attore napoletano, ex bambino prodigio del cinema italiano e tra i protagonisti di “Natale in casa Cupiello” trasmesso dalla Rai, si racconta al RadiocorriereTv
I telespettatori hanno apprezzato il suo Tommasino nella versione cinematografica dell’opera di De Filippo, un testo e un ruolo che possono certificare le qualità di un attore…
È stata una gioia infinta, “Natale in casa Cupiello” è per i napoletani lo spettacolo di Eduardo De Filippo per eccellenza. Per un giovane attore di Napoli, e sicuramente per me, il personaggio di Tommasino è quello a cui ambire, il massimo ruolo con il quale potersi confrontare nella drammaturgia partenopea.
Quando mi si è presentata questa possibilità ho sentito la responsabilità di portarlo sullo schermo mettendoci del mio, seppure tenendo ben presenti il rispetto per la tradizione e i grandissimi attori chi mi hanno preceduto, da Luca De Filippo e Pietro De Vico.
Cosa ha dato di suo a Tommasino?
Una maggiore rotondità. Le messe in scena che eravamo abituati a vedere, anche se in televisione, non erano cinematografiche, ma versioni teatrali riprese dalla Tv, con una recitazione di tipo teatrale, cosa che comporta che alcuni personaggi abbiano poche sfumature perché cavalcano la falsariga della farsa. Il testo, straordinario, alterna diversi registri. È un continuo contrapporsi tra tragedia e commedia, realtà e grottesco. Tra i personaggi quello che va più nella commedia è Tommasino, un po’ un bambino imprigionato nel corpo di un adulto. Avendo la possibilità di lavorare anche sugli sguardi, sui gesti, su un contatto fisico con il padre, la madre e la sorella (nel film tv interpretati da Sergio Castellitto, Marina Confalone, Pina Turco) abbiamo provato a dare da subito al personaggio quella maturità e quella sensibilità che nel testo emergono solo nel terzo atto.