A mio agio nella commedia
FEDERICA PAGLIAROLI
Dalla borgata romana al convento di “Che Dio ci aiuti” su Rai 1. La sua Sara, che ha esordito nella settima stagione della serie, è già entrata nel cuore dei telespettatori. Al RadiocorriereTv l’attrice parla del suo personaggio: «Ho trovato piacevole la sua leggerezza, il suo voler essere libera» e del suo futuro extraprofessionale: «Voglio pensare anche alle cose più concrete della vita, come prendere la patente»
“Che Dio ci aiuti” porta da anni il sorriso nelle case degli italiani. Come è stato confrontarsi con il registro della commedia?
Quando scegli questo lavoro la cosa che ti auguri di più è di poter fare sempre cose totalmente diverse le une dalle altre. Mi è sembrato di essere stata molto fortunata perché il personaggio di Sara è bellissimo, sfaccettato, è un po’ una boccata d’aria fresca. Lei non ha sovrastrutture, è come la vedi. Certamente ha dei segreti, ha un passato oscuro, cose che si scopriranno verso la fine della stagione. Il desiderio di essere felice e la gioia di vivere la portano a nascondere il passato.
Cosa ha pensato di Sara alla prima lettura del copione?
I nuovi personaggi all’inizio erano molto caratterizzati, sono entrati a gamba tesa. Il pubblico ha capito da subito chi fossero. Sara è romana, un po’ eccentrica, ama curare la propria immagine, è un po’ naif, genuina. Io, essendo molto “pesantona” ho pensato che ci sarebbe stato molto da lavorare per lasciarmi andare (sorride). Poi, entrando nel personaggio, ho trovato piacevole la sua leggerezza, il suo voler essere libera.
Sara è una ragazza determinata, è un tratto distintivo che vi accomuna?
Lo vedo di più in lei, anche perché ha una storia diversa. Sara è orfana, ha dovuto trovare la forza in se stessa, non ha avuto una famiglia al suo fianco. La sua bellezza è data anche dalla sua determinazione. Anche io sono stata molto determinata per poter fare questo mestiere.
Come nasce la passione per la recitazione?
Da bambina i miei genitori mi portarono a vedere uno spettacolo musicale, era “Aggiungi un posto a tavola” di Garinei e Giovannini, e mi innamorai totalmente di ciò che vidi. A sette anni chiesi poi di fare teatro, ed ebbi la fortuna di incontrare un’insegnante pazzesca che mi ha cresciuta per un decennio quasi come una figlia, curando la mia artisticità. Dopo il liceo riuscii ad entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia. Amavo il fatto di poter essere lì con tante classi diverse, c’era chi faceva costume, chi fotografia, chi sceneggiatura. Stare in mezzo a quell’arte, a quell’aria di cinema, era pazzesco. Sono stati tre anni di grande crescita, artistica e personale, nonostante dal secondo anno in poi il covid abbia in parte condizionato le attività di gruppo, quelle più fisiche
Che significato ha la parola talento?
Ci si nasce, è una fortuna ma non una garanzia, da solo non basta, bisogna aiutarlo. È certamente importante ma deve essere sostenuto dal lavoro.
Per crescere un attore deve anche “rubare il mestiere” ai colleghi di maggiore esperienza, cosa le hanno insegnato Elena Sofia Ricci e Valeria Fabrizi?
Mi ha colpito il gioco. Elena Sofia e Valeria sono incredibili, fanno cose anche molto buffe senza giudicarsi. Al Centro Sperimentale ci dedicavamo per molte ore al “gioco dell’attore”, che per me era la cosa più difficile. Ci misi quasi un anno per sciogliermi e capire che cosa significasse. Con Elena ho fatto una delle prime scene, mi ha aiutato a lasciarmi andare. Valeria ha un’energia incredibile e mi ha trasmesso la felicità di fare questo mestiere, il nostro è un lavoro dinamico, ti consente di imparare ogni volta qualcosa di diverso.
Come ci si prepara a un nuovo personaggio?
L’approccio cambia di volta in volta, dipende da quali mie corde tocca, da quanto gli sono vicina o gli sono lontana. A volte vado più di empatia, altre cerco distacco. Nel caso di Emma in “Mental”(serie realizzata da RaiPlay) ho lavorato sulla sua forza, tenendo dentro l’emotività. Con Sara gli elementi sono invece quelli dell’esplosività, del gioco. Lei è energia pura.
Ha dei modelli ai quali si ispira?
Rubo. Ci sono attrici, penso a Kate Winslet, che insegnano in ogni loro film. Guardi la tecnica, il metodo, percepisci emozioni.
Un attore è chiamato a dare molto di se stesso, dove ricerca nuovi stimoli?
Quello di avere alti e bassi è un po’ il cliché degli attori, c’è il momento un po’ depressivo in cui pensi sia tutto fermo e c’è quello di euforia. La ricerca è sempre l’equilibrio. Mi sono data degli obiettivi e spero di mantenerli: voglio ricominciare a fare canto, danza, e poi le cose più concrete della vita, come prendere la patente, perché ancora non ce l’ho (sorride).