A casa di Maria Latella
Le parole e la convivialità. Tra amici a tavola per interpretare lo spirito del tempo. Dal 10 settembre in seconda serata su Rai 3 l’house-talk “A casa di Maria Latella”. «Affronteremo temi complessi senza soluzioni facili, in un clima sereno e nel segno dell’autenticità cercando di fare arrivare al telespettatore un contenuto, un pensiero, una battuta, un sorriso» dice la giornalista
Come stai vivendo il ritorno in Rai?
Con grandissima emozione, diversa da quella che provai nel 1996 quando debuttai su Rai 3 con il programma “Dalle venti alle venti”. Nonostante sia accaduto in modo del tutto casuale, è un ritorno che quasi sembra destinato. Quel programma andò molto bene, incrocio le dita e spero che anche questa volta i telespettatori possano apprezzare il nostro lavoro. La sfida non è semplice ma siamo una squadra entusiasta
“A casa di Maria Latella”, chi ci troveremo e cosa accadrà?
Tutte le settimane avremo quattro ospiti, scelti in base alla competenza rispetto al tema di cui discuteremo. Principio che vale anche per i personaggi dello spettacolo, la cui presenza dovrà avere un senso all’interno della narrazione. Il mix è quello che utilizzerei per organizzare una cena a casa mia: un politico, un esperto-tecnico del tema, un personaggio dello spettacolo e una personalità del mondo del giornalismo, della cultura. Cardine del programma è l’autenticità, non ci sarà nulla di finto.
A partire dalla cena che andrà in tavola…
Si mangia davvero, si beve, moderatamente, ma davvero. Il nostro sarà un dopo cinema o un dopo teatro tra amici. Due portate, un primo e un dessert, preparati da ex allievi di un istituto tecnico, perché mi piace l’idea che ci sia attenzione agli studenti dei tecnici alberghieri, importantissimi per l’economia e per il turismo italiano. Mentre assaggeremo i piatti parleremo di temi strettamente legati all’attualità, gli stessi argomenti che si discutono cenando a casa. A leggere il menù sarà ogni settimana un grande attore di teatro.
Che caratteristiche deve avere una buona padrona di casa?
Credo che a differenza di alcuni talk-show realizzati in studio, in cui il conduttore è protagonista, una padrona di casa debba semplicemente tenere il filo della conversazione, sempre capace di lasciare spazio ai propri ospiti.
Il programma andrà in onda da un vero appartamento…
Che si trova nell’edificio in cui abito, mi piace l’idea che gli ospiti si sentano veramente a casa. Si prende prima un aperitivo da me, poi ci si trasferisce sul set nell’altro appartamento. Succedeva già con il programma “A cena da Maria Latella”. L’atmosfera è davvero familiare è capitato che un ex ministro dell’economia scambiasse mio marito per il maggiordomo e gli consegnasse il cappotto (sorride).
Al centro di tutto, ancora una volta, la forza della conversazione…
Che ben conoscevano i nostri antenati, che della conversazione facevano un’arte. Penso alle donne del Sud che stavano davanti alla porta di casa e “se la contavano” dalla mattina alla sera, penso ai caffè letterari, popolati da intellettuali, dove si conversava con libertà e intensità. Il piacere della conversazione contava quanto ciò che si mangiava e si beveva. Mi piacerebbe ritrovare quel piacere nei nostri 55 minuti di programma.
Cosa ti affascina e cosa ti spaventa della nostra contemporaneità?
Mi affascinano le grandi opportunità di conoscenza. Se oggi vuoi informarti su qualsiasi argomento puoi farlo anche se vivi in uno sperduto paese di 500 anime sui monti in una regione remota: ti colleghi alla Rete e puoi saperne di più. Un’occasione molto importante anche per il Servizio Pubblico, che può dare una quantità enorme di informazioni attraverso i suoi vari canali. Da ragazza ricordo bellissimi programmi, serie televisive meravigliose come “L’Odissea” con l’introduzione del poeta Giuseppe Ungaretti. Ma oggi c’è molto di più, un accesso infinito alla conoscenza. Quello che mi spaventa è invece l’incapacità di trovare soluzioni a problemi enormi. Ne cito solo uno, i tanti ragazzi, perlopiù maschi, che restano indietro. Possono essere italiani di seconda generazione come nel caso di Jennifer o ragazzi che, come nella tragedia di Paderno Dugnano, vivevano in famiglie apparentemente felici. Non abbiamo ancora gli strumenti per intercettare questi profondissimi disagi, eppure è assolutamente prioritario concentrare la nostra attenzione sui giovani, maschi in particolare. In questo momento le ragazze sembrano forse più capaci di cercare una strada da sole. Come ripeto, non accade solo in Italia o nelle famiglie con difficoltà finanziarie.
Come trovare nel racconto giornalistico il punto d’incontro tra complessità e leggerezza?
Cerchiamo di affrontare temi complessi le senza soluzioni facili, ma nel clima leggero che si accompagna a cena. Negli ultimi trent’anni abbiamo fatto percepire ai telespettatori che quando c’è Tv deve per forza esserci conflitto. Il conflitto non costa niente, è facile, comodo e porta audience. La sfida è invece quella di parlare anche di temi difficili cercando di fare arrivare al telespettatore un contenuto, un pensiero, una battuta, un sorriso. Per questo ci sforziamo di avere ospiti preparati sull’argomento di cui si parla.
Che cosa hanno cambiato, il tempo e l’esperienza, del tuo essere una giornalista?
Sono forse meno autocentrata e più attenta alle esigenze degli altri, in questo caso del pubblico. Nel 1996 ero più che altro preoccupata di fare bene, di essere considerata una brava conduttrice. Oggi, insieme allo staff degli autori guidato da Pietro Galeotti, alla produzione di Level 33, al regista Giorgio, cerchiamo di dare il miglior prodotto possibile. Essere un po’ meno autocentrati sarebbe un bel vantaggio per tutti (sorride). Come diceva mia figlia quando era più ragazzina, “mamma, scialla”.
Cosa cerchi di scoprire di un ospite prima di dargli il benvenuto a casa tua?
Mi documento, cerco di conoscerlo. Ma la cosa che penso conti di più sia ascoltare quel che sta dicendo. Dopo i primi minuti li ho visti quasi sempre rilassarsi, al punto che molti di loro dimenticano di essere in Tv. Me ne accorgo e faccio in modo che quel clima duri. D’altra parte, se accetti di andare a cena da qualcuno, è perché presumi di sentirti a tuo agio.
Cosa ti fa piacere che spettatori e lettori pensino del tuo lavoro?
Sono contenta quando lo trovano interessante, incuriosente. Di recente ho intervistato Oprah Winfrey per “Il Sole 24 Ore”, e molti, tra coloro che hanno letto l’intervista, mi hanno detto di avere conosciuto la grande giornalista americana attraverso quelle righe in un aspetto più privato, personale. Privato non significa morboso, ma profondo. Credo che un’intervista debba raccontare quel che pensa oggi la persona. Il pettegolezzo, il gossip, sono un’altra cosa. Abbiamo già un presente così pieno di tensioni, di difficoltà, che se ogni intervista deve avere un trauma da rivelare, francamente diventa stucchevole
Cosa ti fa sorridere e ti fa stare bene?
Amo moltissimo il cinema, dove vado ogni volta che posso, mi piacciono le commedie e la sottile ironia. Mi fa sorridere anche il mondo surreale nel quale viviamo, nella nostra vita accadono tante cose comiche delle quali spesso non ci accorgiamo per davvero. E poi c’è la lettura, penso ad esempio a un libro che di recente mi ha fatto ridere fino alle lacrime, è “Profiles in ignorance” di Andy Borowitz dedicato all’ignoranza dei politici americani e come è cambiata la reazione dell’opinione pubblica rispetto a loro. Molto divertente e anche molto inquietante.