70 anni di emozioni
SANREMO 2020
Pochi giorni ancora e si alzerà il sipario sul 70° Festival della Canzone Italiana. Il RadiocorriereTv incontra John Vignola, critico musicale e conduttore di Rai Radio1, autore del libro “70 Sanremo”, edito da Rai Libri: “E’ il luogo dove la musica è anche società e cambia insieme all’Italia”
Sei curatore di “70 Sanremo”, libro in vendita dal 30 gennaio dedicato all’importante compleanno del Festival, come nasce questo progetto?
Raccontiamo una storia inesauribile attraverso un repertorio fotografico importante, che più di tante parole dà anche la tridimensionalità del Festival di Sanremo, un palcoscenico, Casinò o Ariston, sul quale si è letteralmente dispiegata la storia della musica in Italia. Siamo partiti dalle foto per raccontare, decennio per decennio, quelle che sono state le caratteristiche del Festival e 70 anni di canzoni. In questa narrazione mi sono fatto aiutare da voci eccellenti, che vanno da Vasco Rossi a Vincenzo Mollica, non potevano mancare Pippo Baudo e Renzo Arbore, mentre la prefazione è dell’attuale direttore artistico Amadeus. Le testimonianze, le fotografie, il mio lavoro, sottolineano come il Festival sia un luogo dove la musica è anche società. È un posto dove nel 1967 si suicida Luigi Tenco, in un momento terribile, ma è anche il posto nel quale Adriano Celentano canta “Chi non lavora non fa l’amore”, è il palco sul quale Vasco Rossi non arriva tra i primi, ma che dà il via a una carriera meravigliosa. Come dice Carmen Consoli, che abbiamo intervistato insieme a Irene Grandi all’interno delle nostre schede introduttive ai decenni, il Festival di Sanremo racconta tutta la musica. Forse non è per tutti gli artisti, ma è senza alcun dubbio un punto di riferimento per la musica in Italia.
Settanta festival, settant’anni di storia italiana, quali sono i momenti chiave e quali invece quelli rimasti impressi nella tua memoria?
Ce ne sono tantissimi, non riesco a fare una gerarchia, però è evidente che Adriano Celentano che dà le spalle al pubblico mentre interpreta “24 mila baci” è un momento iconico e icastico, così come quello che vede protagonista Domenico Modugno che apre le braccia verso il cielo e costringe i cameramen a fare un passo indietro. Penso anche al suicidio di Tenco nell’edizione del 1967, al Sanremo del 1968, che rendono conto di un momento particolare. Se poi dobbiamo parlare dei miei personali ricordi, il mio ricordo va a Vasco Rossi, che si dimostra un po’ refrattario al clima del Festival, penso alla vittoria di Mahmood, alla reazione di Ultimo, non tanto perché sia stata una reazione scomposta, ma perché testimoniava la tensione di quel momento.
Come è cambiato nel tempo Sanremo?
È cambiato così come è cambiata l’Italia. Il Festival nasce con un intento discografico, nelle prime edizioni gli interpreti si trovavano a presentare più di una canzone. C’è una serie di motivazioni, tra queste anche il tentativo di lanciare il turismo in Riviera, che hanno portato Sanremo a essere sinonimo di Festival della canzone italiana, una vocazione tramandata nel corso dei decenni. Il Festival ha accompagnato la canzone italiana dal suo legame con la melodia, con il belcanto, verso qualcosa di profondamente nuovo, avventuroso. Caratteristica delle ultime edizioni del Festival è l’apertura, sempre più decisa, a tutto ciò che gira intorno alla forma canzone. Il palco di Sanremo ci descrive, decennio dopo decennio. Anche negli anni più bui, quelli in cui il playback impazzava e l’attenzione del pubblico era minore, il Festival fotografava il Paese.