TOMMASO DONADONI

Pietro, un ragazzo senza tempo

Il giovane attore lombardo, tra i protagonisti dell’ottava stagione di “Che Dio ci aiuti” parla del suo personaggio e del suo esordio in una delle serie più amate della Rai. «Sono entrato in punta di piedi in questa famiglia, timidamente, proprio come quando entri in casa degli altri» racconta al RadiocorriereTv

Ci racconta il suo incontro con il mondo di “Che Dio ci aiuti”?

Conoscevo indirettamente la serie perché la mia famiglia ne è fan da sempre ma non l’avevo mai seguita con attenzione. Da un momento all’altro, poi, mi ci sono trovato dentro ed è stato bellissimo. Sono entrato in punta di piedi, timidamente, proprio come quando entri in casa degli altri.

Con Pietro come è andata?

Ho pensato da subito che Pietro fosse un ragazzo d’oro, molto raro al giorno d’oggi.  Lo è nel modo in cui risolve i problemi, nella prospettiva che ha sulla vita, nell’approccio con gli altri. È altruista, cerca di fare andare bene le cose, vuole il bene per tutti. Mi sono commosso già alle prime pagine del copione, leggendo la scena in cui rinuncia a fare il concorso per entrare nei carabinieri.

Dalla scrittura al set, cosa ha aggiunto, di Tommaso, a Pietro?

Ho dato a Pietro un po’ del Tommaso degli anni passati, di quando ero ragazzo.  Il rapporto che ha con la sorellina, ad esempio, si avvicina molto a quello che avevo con la mia quando era più piccola, e quando io ero più presente a casa.

Dal suo personaggio, invece, cosa ha ricevuto?

Tantissimo, è un ragazzo senza tempo. Più che essere lui sarebbe bello avere un amico come Pietro.

Come vede il rapporto di Pietro con il padre Lorenzo?

Il rapporto tra Lorenzo e Pietro è tutto da snodare: inizialmente è molto formale, distaccato, non sembrano padre e figlio ma coinquilini con ruoli ben precisi, ad aiutarli ci pensa suor Azzurra (sorride).

Si immagini di poter incontrare per qualche ora il suo Pietro. Che cosa gli direbbe e cosa gli proporrebbe di fare?

Gli proporrei di andare a pescare in un laghetto artificiale dalle mie parti. Peschi e ributti in acqua (sorride). Nel frattempo, gli chiederei di raccontarmi come fa a essere così com’è, perennemente.

Che spazio ha la fede nella sua vita?

Molto grande, pur non essendo praticante e provenendo da una famiglia in cui prevale l’approccio scientifico. Il mio Dio lo ritrovo nel quotidiano, nella mia vita di tutti i giorni. Penso che la fede sia una “bella droga”. Senza, credo che sarebbe tutto impossibile.

Prima la popolarità sul web, ora la televisione. Come cambia la narrazione da un media all’altro?

A differenza della serialità, che è palesemente finzione, i social raccontano un quotidiano che il pubblico non sa mai se sia vero o costruito. “Che Dio ci aiuti” è una sceneggiatura, una realtà volutamente utopica in cui i problemi si risolvono, in cui arriva una meravigliosa Francesca Chillemi vestita da suora che ti dà una mano. Quando comunichi invece con un pubblico raccontando la tua vita, devi fare attenzione a quale maschera indossi, a come ti poni. È molto più fraintendibile.

Set a parte, chi è Tommaso nella vita di tutti i giorni?

Un ragazzo di vent’anni che vive a Roma e che cerca di poter vivere di questo lavoro, un giovane che va a fare la spesa e che si ferma a prendere un caffè (sorride).

Cosa l’ha spinta verso la carriera dell’attore?

La curiosità nei confronti di tutto e la facile tendenza ad annoiarmi. La voglia di capire che cosa si nasconde nelle altre parole, nelle altre vite, nelle altre prospettive.

Cosa hanno detto in famiglia del suo esordio nella serie?

Mia madre era impazzita (sorride). Quando è uscita la prima puntata su RaiPlay l’ha vista subito molte volte ancor prima della messa in onda televisiva. Le dicevo che anche rivedendola avrebbe trovato la stessa storia, ma il suo entusiasmo era incontenibile.

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