Ricordi
LUCA ZINGARETTI
“Mi manca molto la sua voce. Andrea Camilleri era uno dei pochi uomini intellettuali che costituiva un po’ una figura di riferimento, era una delle poche voci autorevoli del nostro panorama. Ogni tanto la faceva sentire questa voce e ci illuminava, ci faceva riflettere, oggi questa voce si è spenta. Manca non solo a me, ma al nostro Paese”. Di Luca Zingaretti Camilleri era stato insegnante all’Accademia: “Mi ha insegnato molto dal punto di vista professionale, mi colpì subito perché ci trattava non come allievi, ma come colleghi. E poi, e questo è qualcosa che porto dentro ancora adesso, è che ha sempre considerato il successo come qualcosa di poco importante, quando ha raggiunto il successo planetario, è rimasto sempre fedele a se stesso.” E a proposito di Montalbano, che nella sua versione letteraria non viene mai descritto troppo chiaramente nel fisico (alcuni dettagli emergono in maniera sparsa nelle pagine dei romanzi – baffi, capelli, e una faccia perennemente imbronciata), Zingaretti dice: “Quando venni preso finalmente, dopo sei mesi di provini, Camilleri disse: “Finalmente ce l’hai fatta. Sinceramente non mi immaginavo un commissario fisicamente come te, ma so che razza di attore sei, sono sicuro di fare un buon lavoro”. Per quasi venti anni l’attore romano ha frequentato assiduamente il commissario che nel tempo è diventata “una persona particolarmente cara, quasi paterna che ha molto da insegnare. Per un attore, ogni personaggio lascia dentro qualcosa, perché ci si misura con il loro sistema di valori, con loro senso etico, con le loro azioni, con i loro pensieri. Sicuramente per me Montalbano è stato un’occasione per misurarmi con un’idea di giustizia, con un profondo senso etico e con un modo di sentire le cose molto di pancia, ma soprattutto con il suo essere una persona perbene, che penso mi appartenesse anche prima, ma che è stata rinforzata da questa da questa frequentazione. Montalbano è come un vecchio amico che andavo a trovare con gioia ogni anno in un piccolo paesino sperduto della Sicilia”. Quando il Maestro è venuto a mancare: “A me umanamente mi manca un amico, perché con Andrea non ci siamo sentiti tantissimo, ma ogni volta che sono andato lui a chiedere un consiglio, una parola, lui me l’ha sempre data, precisa, illuminante. Manca a tutti, perché era una voce illuminante, con una visione originale”.
PEPPINO MAZZOTTA
«Nei primi romanzi il mio personaggio non aveva un nome, ma solo un cognome – Fazio. Durante le riprese, a un certo punto, fu necessario dargliene uno e si decise per il mio. Da quel momento è diventati Giuseppe Fazio nella serie e nei romanzi. Oggi posso dire che il mio personaggio mi manca, così come i luoghi che ci hanno ospitato durante le riprese. Proviamo tutti una nostalgia fortissima».
CESARE BOCCI
«È la meravigliosa penna di Camilleri che ha dato l’anima a Mimì e a tutti i personaggi della serie. Io ho fatto il lavoro più semplice, anche perché quando un attore ha a che fare con un personaggio così ben scritto, tutto diventa facile. Quello che certamente gli ho dato io è stato l’amore, mi sono affezionato al lui come un amico che, ogni tanto, ogni due anni, andavo a trovare. Ricordo ancora con emozione, eravamo alle prime stagioni ed era andata in onda una puntata molto toccante, l’incontro con Camilleri, il quale mi raccontò che la mia interpretazione aveva commosso lui e sua moglie. Sono parole che conservo gelosamente e che, ogni tanto, tiro fuori.»
Arianna Mortelliti, nipote di Andrea Camilleri
“Anche quando raggiunse la pensione si comportava esattamente come se dovesse andare in ufficio a timbrare cartellino ogni mattina. Si alzava, preparava il caffè, si faceva la barba, si vestiva di tutto punto e alle nove massimo era pronto alla scrivania per lavorare. Raccoglieva le idee la sera prima di addormentarsi o la mattina appena sveglio, aspettava che arrivassi nel suo studio e mi dettava tutto d’un fiato ciò che gli era venuto in mente: “Buttiamo giù” diceva “poi al limite lo sistemiamo”. Ma chiaramente nel caso di mio nonno c’era sempre ben poco da sistemare. Si definiva un corrispondente di guerra perché amava lavorare nella confusione più totale. Quando ero piccolina mi chiedeva sempre di giocare accanto a lui o sotto la sua scrivania, e lo stesso ha fatto quando è diventato bisnonno. Nonno era davvero molto legato alla Sicilia, in particolare a Porto Empedocle, anche se si è trasferito in via definitiva a Roma all’età di 24 anni. Coglieva ogni occasione per poter tornarci ed era ben contento quando riuscivamo a farlo tutti insieme. Ogni volta che lo faceva per tutti era un grande evento e, quando stava seduto nel bar del Corso principale che chiamava il suo ufficio, si spargeva la voce e molte persone, non solo siciliane, cercavano di raggiungerlo per scambiare due chiacchiere con lui.”