Michele Ruol

Ho incontrato le mie storie armato di astuccio e righello

«Se penso alla scintilla che ha innescato tutto, mi viene in mente un ricordo piccolo e remoto: ero alle elementari, e dovevo descrivere il percorso che facevo per tornare a casa da scuola. A un certo punto ho aggiunto un drago a sbarrare la strada, e allora l’astuccio è diventato uno scudo, e il righello spada: è stato in quel momento che ho cominciato a scoprire che esisteva uno spazio dove poter inventare, ed esplorandolo ho poi realizzato che si trattava di un territorio senza confini.»

Una scintilla non può mancare se a parlare è Michele Ruol, autore di un piccolo miracolo chiamato “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia”, inserito nella dozzina dei finalisti del Premio Strega 2025. Ruol è un medico specializzato in Chirurgia Pediatrica e in Anestesia e Rianimazione, ma l’amore per la scrittura è sempre stata fondamentale nella sua vita, in tutti i suoi aspetti: racconti, sceneggiature teatrali, narrativa.

«Mi è sempre stato chiaro che non avrei voluto rinunciare alla scrittura, ma ci ho messo anni a capire che ruolo, che spazio e che energie avrei potuto dedicarci. Il rapporto con la scrittura è un equilibrio fragile che ho costruito nel tempo, e che vive di fisiologici alti e bassi, di periodi di piena e altri di siccità.»

Come nasce una storia come “Inventario…”?

«Ero padre da poco, e avevo scoperto che diventare genitore aveva ampliato lo spettro del visibile: erano arrivate gioie che, pur attese, mi avevano stupito, non solo per intensità, ma anche per qualità: si trattava di un tipo di felicità che non sapevo di poter provare. Allo stesso tempo avevo scoperto che lo spettro emotivo si era ampliato anche sul fronte opposto, aprendo squarci su ansie e paure fino a quel momento inimmaginabili. Quello che racconto in questo romanzo è l’incendio che divampa nella vita di due genitori con la perdita dei figli, ma credo che la scintilla di quell’incendio, quella paura accecante e irrazionale, faccia parte della coda di gioia e dolore e stupore che i figli, come comete, lasciano nella loro esplorazione dell’universo. A questo si uniscono una serie di interrogativi aperti, collegati anche alla professione medica: come si sopravvive al dolore? L’arte, e la letteratura in particolare, per me può essere un modo per conoscere il mondo, esplorando il possibile e sollevando domande per cui non ho risposte. Scrivere è un andare a cercarle insieme ai miei personaggi.»

Essere nella dozzina dello Strega: emozioni, paure, incredulità?

«Sono molto grato a Walter Veltroni, che ha incontrato questo romanzo da presidente della giuria del Premio Campiello. Sinceramente non immaginavo che l’avrebbe preso a cuore al punto da proporlo allo Strega, né tantomeno che il libro sarebbe poi entrato in dozzina, soprattutto considerando la qualità e la quantità delle opere proposte. Vivo questo momento con grande gioia e gratitudine.»

Quanto conta una fascetta intorno a un libro?

«Sicuramente ha un peso: può aiutare il lettore a districarsi nella selva di libri che quotidianamente esce, ma può anche trarre in inganno, essere fuorviante. Certamente la fascetta di un premio, e di un premio prestigioso come lo Strega, rappresenta una possibilità per il libro di uscire allo scoperto, e questo vale in particolar modo per un autore esordiente o per una casa editrice indipendente che a volte rischia di rimanere sommersa dai meccanismi della distribuzione di catena. Può essere un’occasione di incontro tra il libro e nuovi potenziali lettori, ma non è l’unica: credo che ancora di più valgano i consigli di librai appassionati, il passaparola tra lettori entusiasti, i percorsi sotterranei e imprevedibili di un libro che passa di mano in mano.»

Cosa ti aspetti ora?

«Sono entusiasta all’idea di portare questo libro in giro per Italia insieme agli altri della dozzina: sono curioso degli incontri e degli scambi che nasceranno con nuovi lettori e con gli altri scrittori, e non vedo l’ora di scoprire le risonanze che si creeranno.»

Laura Costantini

 

 

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