Massimiliano Bruno

Meglio insieme che da soli

Il RadiocorriereTv incontra il regista di “C’era una volta il crimine”, da giovedì scorso sul grande schermo, e parla di satira, risata, del cinema che cambia e del ruolo della commedia: «L’obiettivo è divertire e al tempo stesso parlare di argomenti importanti». Nel film lo stesso Bruno, Marco Giallini, Gianmarco Tognazzi, Giampaolo Morelli, Carolina Crescentini, Giulia Bevilacqua, Ilenia Pastorelli ed Edoardo Leo

Siamo al terzo atteso capitolo di una trilogia che sta appassiona il pubblico, in quale mondo ci porterà?

Vi porto all’8 settembre del 1943, durante la Seconda guerra mondiale, in un’Italia devastata, vi porto in mezzo ai partigiani, ai fascisti, ai nazisti, in un’Italia povera di una guerra ingiusta, ma allo stesso tempo vi porto nella commedia all’italiana, che ha la caratteristica di saper fare ironia e sarcasmo su qualsiasi argomento, anche il più atroce, e con il rispetto dovuto alla situazione. I miei interpreti hanno onorato la commedia all’italiana, Marco Giallini, Gianmarco Tognazzi, Giampaolo Morelli, Carolina Crescentini, Giulia Bevilacqua, Ilenia Pastorelli, lo stesso Edoardo Leo, sono stati dei protagonisti straordinari di questo tipo di film.

Perché ha scelto di ambientare la storia nel corso della Seconda guerra mondiale?

Il periodo storico mi permetteva di fare molte similitudini con il mondo attuale, non a caso in questi giorni vediamo ciò che accade. La guerra è sempre qualcosa che sembra lontana ma non lo è, è uno spauracchio che sembra sempre non debba riguardarci ma invece, incredibilmente, da un giorno all’altro, ci riguarda. L’obiettivo è divertire e al tempo stesso parlare di argomenti importanti.

Due componenti della banda sono dietro le sbarre, ma c’è l’innesto del professor Claudio Ranieri (Giampaolo Morelli), cosa significa fare una commedia corale? Quali sono i punti di forza e quali potrebbero invece essere i limiti?

Più di una volta ho diretto dei film corali che hanno il vantaggio di sviluppare il tema dell’amicizia e diverse sottotrame. Nel film a protagonista unico, probabilmente, riesci ad andare più a fondo nelle problematiche del personaggio. Non scelgo mai per partito preso un film corale, ma guardo all’impatto della storia. La saga di “Non ci resta che il crimine” era una storia d’amicizia, il tema è “è meglio insieme che da soli”.

Nel suo cast ci sono tanti numeri uno. Come sceglie i suoi interpreti?

Spesso parti dalla storia, spesso gli interpreti dei miei film sono miei amici dal 1990. Ci frequentiamo, ci sentiamo, chiedo la loro disponibilità. Altre volte penso ad attori e ne trovo altri, perché quello che vuoi è occupato, altre volte ancora scopri degli attori su cui avevi dei dubbi e che invece esplodono, sono giustissimi. La scelta del cast avviene a volte preventivamente, altre strada facendo a sceneggiatura ultimata.

La satira e la risata, qual è il punto d’incontro?

Penso che non ci sia limite. Ce lo ha dimostrato Charlie Chaplin ne “Il grande dittatore”, con una evidente parodia di Hitler, ce lo ha dimostrato Roberto Benigni ne “La vita è bella”, ma anche un film rumeno molto bello come “Train de vie”, piuttosto che “La grande guerra” di Monicelli. Film che trattano questo argomento ironizzandoci sopra. L’ironia deve sempre essere rispettosa della sofferenza, può raccontarla ma non deriderla. Noi, in questo tipo di rispetto, ci troviamo molto a nostro agio.

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