MARCO CARRARA
Una bella sfida quotidiana
Al timone di “Agorà Estate” con Giulia Di Stefano, è uno dei volti più amati del mattino di Rai 3. «Tra invernali ed estive ho preso parte a sedici edizioni – racconta il conduttore – “Agorà” per me è casa e famiglia»
Da anni nello studio di “Agorà” per raccontare i fatti dell’attualità alla grande platea televisiva. Che cosa provi per questo programma?
“Agorà” per me è casa e famiglia. Prima di iniziare a condurre questa edizione estiva ho voluto contare quante fossero quelle a cui ho preso parte, tra estive e invernali, e sono sedici. Un numero importante. Se riavvolgo il nastro vedo tante cose, ma prima tra tutte mi accorgo di quanto “Agorà” sia stata e sia per me una scuola di giornalismo e rappresenti un posto prestigioso in cui lavorare e imparare.
Ricordi il debutto in trasmissione?
Come tutte le cose belle accadono per caso (sorride). La proposta arrivò in maniera naturale e il mio debutto avvenne dietro le quinte. Ero a “Tv Talk”, a Milano, quando mi chiesero di fare una sostituzione ad “Agorà Estate” per curare i social in redazione. Partì tutto da lì, quell’esperienza si trasformò poi in un lavoro stabile.
Cosa significa fare il giornalista oggi?
Credo che in questo momento storico il lavoro del giornalista sia estremamente sfidante. C’è chi dice che il giornalismo finirà, che l’intelligenza artificiale ci sostituirà, credo invece stia accadendo esattamente l’opposto. Per quanto mi riguarda devo verificare più fonti, devo fare attenzione alla veridicità di foto e video. Cosa non facile. Si pensi ai social media, anche la famosa spunta blu dei profili non è una garanzia assoluta. Il nostro lavoro è sempre più bello e difficile, è una sfida che ti fa mettere in gioco ogni giorno.
L’intelligenza artificiale è per te qualcosa da temere o una risorsa?
Leggevo un articolo molto interessante sul New York Times, che sottolineava come oggi al centro del dibattito sia più il tema della paura dell’intelligenza artificiale che non quello dei tanti benefici a essa legati. Non dobbiamo mai dimenticare che molti business sono strettamente legati alla paura: ci sono agenzie che ti formano, che ti insegnano a stare in guardia. Ben venga dunque un campanello d’allarme, ma senza mai dimenticare i vantaggi e le possibilità dati dal progresso. Puoi utilizzare un’automobile per guidare in modo sconsiderato e andare a sbattere o puoi guidarla per andare al lavoro o in vacanza. Dipende da come la usi.
Cosa ti colpisce di più della Rete oggi? C’è ancora qualcosa che ti fa dire “wow”?
Impazzisco quando i social vengono utilizzati per mostrare il talento. È strabiliante vedere una ragazza che fa la cassiera nelle Filippine e che canta come Beyoncé, quando vedi giovani creator che ti insegnano delle cose. C’è tantissimo di bello. Purtroppo, tante volte noi giornalisti ci focalizziamo solo sugli haters, sui pericoli. C’è tanta retorica, un approccio un po’ passatista. In Italia il nuovo è spesso visto con sospetto. Certo, ci sono tanti aspetti critici, ma sarebbe sbagliata una narrazione a senso unico. Bisogna raccontare la complessità.
Perché si ha così tanta paura della complessità?
Passano gli anni e si abbassa sempre più la nostra soglia di attenzione. Pensiamo ai telefoni, allo scroll del social media che ci porta a voler sapere sempre di più nel minor tempo possibile. Leggevo che il presidente americano Donald Trump ha una soglia d’attenzione di quattro secondi, quando un collaboratore gli si avvicina per dirgli una cosa importante deve farlo rapidamente. Se i grandi della Terra hanno questa soglia, pensa a noi comuni mortali. Il consiglio che do a me stesso e a tutti, è quello di approfondire, di ascoltare.
Ragazzi e social, rapporto virtuoso o qualcosa non va?
Faccio tanti incontri nelle scuole e credo si parli troppo poco dell’impatto del digitale sui giovani, sugli adolescenti, che molte volte vengono abbandonati sul tablet come se si trattasse di una nonna, di una tata. Stiamo andando a sbattere. Credo serva un mea culpa anche da parte dei giornalisti e dei media, nel mio piccolo mi impegnerò sempre più a farlo. Serve un giusto punto di equilibrio, bisogna porre attenzione.
Social e boomer, mondi ancora agli antipodi?
Non sono molto convinto di questo. Alcuni social media sono usati soprattutto dagli adulti: l’aderenza tra online e offline è quasi totale. I boomer nel corso degli anni sono diventati sempre più social, certo, possono fare qualche danno in più (sorride), ma il loro desiderio di confrontarsi con il mondo digitale è forte.
Chi può scivolare con più facilità su una fake news?
Tutti, anche un giornalista. Nessuno è esente. L’importante è che, se sei un giornalista, tu faccia il massimo perché non accada.
Come ridurre il rischio?
Incrociando sempre le fonti. Qualche tempo fa ho trovato in rete un video che mostrava una grande città di un Paese in guerra rasa al suolo dai missili: quel filmato era stato visto da 60 milioni di persone. Confrontando le immagini con quelle di testate giornalistiche autorevoli ci siamo accorti che si trattava di un prodotto dell’intelligenza artificiale.
L’intervista impossibile che vorresti fare?
Te ne indico due, una pop e una seria. La prima sarebbe a Taylor Swift che dal 2011 non rilascia interviste in Italia. Lei è un modello musicale e di business estremamente affascinante. Le chiederei di darmi una lezione di marketing. Per la seconda, quella più seria, mi piacerebbe intervistare Papa Leone XIV, gli chiederei di parlarmi dell’intelligenza artificiale e del significato che ha per lui la parola pace.
Una tua promessa al pubblico che ti segue con affetto…
Anche in questo caso vado con due, una seria e una pop (sorride). La prima è che non smetterò mai di studiare. Essere preparato nel mio lavoro è un po’ la mia ossessione. Quella più divertente, invece, è che parlerò un po’ più lentamente, cosa che mi chiedono alcuni spettatori.