MANUELA MORENO
Nel segno dell’empatia
Da lunedì 16 giugno in prima serata su Rai 3 la giornalista torna alla conduzione di “Filorosso”: «Una finestra aperta sul mondo, sui fatti italiani e internazionali, puntando all’equidistanza e il più possibile all’obiettività». I reportage, i collegamenti e le interviste faccia a faccia: «Con l’ospite cerco un rapporto di fiducia, chiarisco le regole di ingaggio e mi pongo in ascolto»
L’approfondimento del Servizio Pubblico non va in vacanza, da dove riparte “Filorosso”?
Dall’attualità, nostro tema principe. Sarà una finestra aperta sul mondo e sugli avvenimenti italiani, lo faremo con i nostri corrispondenti, gli inviati, gli ospiti. Due ore e cinquanta minuti di programma nei quali la cronaca avrà ampio spazio, penso al caso di Garlasco, all’imminente incidente probatorio, ai tanti gialli che ancora non trovano soluzione, ma racconteremo anche l’estate degli italiani, cercando di tenere compagnia soprattutto a chi non può andare in vacanza. Per quanto mi riguarda riparto dall’esperienza di conduzione di “Filorosso” di due anni fa, cercando di ricreare lo stesso clima.
Come nasce una vostra puntata?
Appena conclusa una puntata ci mettiamo subito al lavoro per la successiva, partendo dalle idee e dagli ospiti. Il copione invece è in continua evoluzione, in aggiornamento, sono infatti le storie e i fatti dell’attualità a dare l’impronta alla trasmissione, anche nel corso della diretta stessa. Seguendo questo filo rosso ti fai accompagnare dai fatti, il programma si costruisce mentre sei in onda.
Cosa significa essere giornalista del Servizio Pubblico?
Sento molto la missione e la responsabilità. Sono alla Rai dal 1992, entrai a “Unomattina” con i contratti a termine, la gavetta e le strade percorse non sono mancate, ma il faro illuminante è da sempre quello di raccontare in modo semplice anche le cose più complicate. Voglio arrivare a una comunicazione che sia diretta, immediata. Non amo le lunghe domande, che servono a dimostrare di saperne di più dell’ospite, mi metto nei panni del telespettatore, cercando di raccontare le cose che mi piacerebbe ascoltare nel modo in cui mi piacerebbe ascoltarle, con la correttezza, l’equidistanza e il più possibile l’obiettività, cercando di mantenere la giusta distanza dalla notizia che è sempre la protagonista. La notizia ci conduce, e noi cerchiamo di raccontarla al meglio. L’ultima cosa di cui mi preoccupo sono il trucco e il parrucco, per sette anni a “Tg2 Post” mi sono truccata e pettinata da sola con uno specchietto da borsetta microscopico (sorride) poco prima della diretta. Bisogna avere il coraggio di fare due passi indietro rispetto alla notizia.
Come è cambiato, nel corso della carriera, il tuo modo di raccontare la realtà?
Portando sempre di più la strada dentro allo studio. Ho fatto per tanti anni l’inviata, senza cedere alla seduzione di chiudermi in uno studio televisivo come in una parete di specchi che ti rimanda la tua immagine, per questo sono sulla strada anche quando sono in studio. Penso che sia la mia caratteristica.
A “Filorosso” non mancheranno gli ospiti. A un intervistato si può chiedere proprio tutto?
Sì, domandare è lecito, rispondere è cortesia.
Come ti poni nei confronti dell’intervistato?
Cerco un rapporto di fiducia: il giornalista è uno strumento che aiuta l’intervistato a fare conoscere il proprio pensiero, non è un nemico. Si è lì in buona fede, nessuno vuole fregare l’altro. Nel momento in cui l’ospite capisce che le regole di ingaggio sono chiare, tutto è più semplice. Mi pongo in ascolto, non penso alla domanda successiva, perché mi viene dalla risposta. Ho la domanda iniziale, poi il racconto dell’intervistato mi porta spesso altrove da dove pensavo di arrivare.
L’intervista “impossibile” che in questo momento storico vorresti fare…
Il Papa.
Cosa gli chiederesti?
Mi piacerebbe capire dove va la Chiesa in questa fase, partendo proprio dall’eredità di Papa Francesco. Scoprire come si muoverà, come vede queste guerre, come pensa di portare l’uomo al centro. Vorrei conoscerlo meglio perché sino a ora l’abbiamo visto più che conosciuto. È una figura ancora da indagare, potrebbe riservarci delle sorprese.
E sulla sua America cosa gli chiederesti?
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa di Musk e di Trump e tra i due come si posiziona. L’uomo più ricco del mondo e l’uomo più potente del mondo visti da un uomo di fede e di religione.
Quanto conta l’empatia nel racconto giornalistico?
Per me è fondamentale perché è una modalità che mi identifica anche nella vita di tutti i giorni. Cambiano gli argomenti, ma che io sia al lavoro o in un momento di svago ho le stesse curiosità, le stesse caratteristiche, gli stessi difetti. Sono sempre me stessa.
Una cifra alla quale si aggiunge tanta ironia, a provarlo le tue inchieste per i programmi di Rosario Fiorello…
Fiorello è un genio assoluto, lo adoro. Per “Viva Rai 2!” mi chiese di fare delle inchieste assurde e al tempo stesso di essere serissima. Gli risposi che per lui sarei stata Buster Keaton.
Un’inchiesta che ricorda con particolare simpatia?
Quella sul parrucchiere che per la prima volta nella storia aveva fatto i capelli esattamente come glieli aveva chiesti il cliente (ride). Grazie a Fiorello ho mostrato la parte più giocosa di me e mi sono divertita come una matta.